Da Philadelphia a Taranto, la lunga strada dei writers

di Luciano Manna

Che il sol levante negli ultimi anni abbia avuto un’influenza sull’Europa e sull’Occidente  incidendo sulla loro cultura è cosa risaputa, ma che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, comunicasse dalla Cina l’accordo tra comune e writers era un po’ inaspettato. Succede infatti che ad ottobre del 2010 il sindaco della capitale si trova a Shanghai per una visita e da lì annuncia “Il Comune sottoscriverà un patto con i writers per liberare Roma dai graffiti. Obbiettivo è assegnare dei muri della città alla creatività di chi fa dei graffiti una forma artistica e anche un lavoro, ma anche garantire delle regole, evitando l’emulazione da parte di chi scrive sui muri pur non avendo niente da dire”.

Ma l’accordo che andrà a sancire Alemanno non è il primo messo in atto nella capitale; infatti già nel 2007 nasce  il progetto Cromiae, patrocinato dal comune e dalla provincia di Roma, che assegna spazi definiti e quindi  muri destinati alla street art.  Nel corso del primo anno, dalla partenza del progetto, si realizzano tre eventi importanti con partecipazioni da tutta Europa e si coprono 10.000 mq di muri con opere legali.  Il progetto è gestito dall’associazione Walls con la collaborazione dell’ufficio Decoro Urbano di Roma Capitale che assegna gli spazi sui muri ai writers che partecipano al progetto. Le possibilità sono due: muri liberi ed assegnati, in entrambi i casi gli spazi sono legali. I muri liberi sono superfici dove chiunque senza autorizzazione scritta può recarsi per realizzare la propria opera; quelli assegnati sono degli spazi un po’ più piccoli dei precedenti dove però si può realizzare l’opera solo con un’autorizzazione scritta: lo spazio in questione viene assegnato al writer per 3 mesi, in questo arco di tempo è lui il responsabile di quello spazio. Questo accadeva sotto la giunta Veltroni

Nel 2010, invece, Gianni Alemanno firma il patto Urban act sempre con i writers dell’associazione Walls e cambiano i criteri: ogni municipio dovrà individuare quattro muri da destinare al progetto; gli spazi saranno decisi insieme ai cittadini e dovranno essere di proprietà del comune.  “Un principio di responsabilità: si tratta di chiarire lo spazio in cui è possibile esprimersi in equilibrio con la tutela del decoro urbano, al di fuori del quale scatta l’ illegalità”. Ed i writers ripartono anche questa volta approfittando del fatto che i muri di proprietà del comune hanno una visibilità maggiore: infatti nei vari municipi di Roma vengono destinati proprio quelli di recinzione a sedi istituzionali come sedi Asl, ville comunali ed in alcuni casi i muri del municipio stesso; il tutto prende colore!

Il movimento dei writers esplode nei sobborghi di New York nei primi anni ’70, ma nasce qualche anno prima sui treni di Philadelphia. Nel corso degli anni ha dovuto conquistare credibilità e spazi in tutto il mondo, soprattutto è stato riconosciuto come un’espressione d’arte occupando spazi nei più famosi musei d’arte moderna del mondo. In Italia il processo è stato sicuramente più lento ma ad oggi in molte città italiane ci sono accordi tra istituzioni e i protagonisti della street art. La prima tra tutte a concedere spazi autorizzati è stata Torino alla fine degli anni ’90, seguita da Milano – dove sono stati addirittura riconosciuti i valori artistici dei graffiti del Leoncavallo, niente meno che da una giunta di centro destra –; altre città hanno stipulato accordi come a Firenze, Bologna, Lucca, Trento, Rimini, Monza, Bari, Palermo, Napoli e tante altre, il fenomeno è ormai diffuso e legalizzato in tutta Italia

Fotografare le opere dei writers nella capitale ti fa capire quanto queste sono metabolizzate dalla gente. L’esperimento è semplice: basta recarsi in un luogo dove ci sia un muro ben coperto da graffiti, meglio se adiacente ad un marciapiede; se rimani a debita distanza per almeno dieci minuti, magari dal marciapiede di fronte, provi a contare i passanti che si fermano ad osservare l’opera: risultato, zero. Qualcuno potrebbe dire che il risultato è falsato dalle persone che passano per quel marciapiede vicino a quel muro tutti i giorni e quindi non rimangono lì ad osservare il solito muro anche se ricoperto dai quei colori forti. Sbagliato, prova numero 2: ci si siede vicino al muro, per terra, sul marciapiede per altri dieci minuti; i passanti hanno una minima reazione: ti osservano da lontano, quando passano accanto fanno finta di non guardarti ma ti seguono con la coda dell’occhio, qualcosa devi pur fare lì per terra, ma dopo dieci minuti sei diventato invisibile, non ci sei più, né tu che sei lì da dieci minuti né l’opera street art che è lì da anni.

Prova numero 3A: ti pianti in piedi sul marciapiede ad un metro dal muro street art e fissi l’opera. Funziona: c’è qualcuno che si ferma; se sei in quella posizione stai osservando qualcosa ed io passante sono curioso di sapere cosè, la guardo anche io, anche se non capisco questo disegno perché sono anziano, e a dire il vero vengo qui molte volte, questo è il muro di cinta della sede Asl del 6°municipio, io qui vengo a fare le visite mediche, ma quando li hanno fatti ‘sti disegni’? Esperimento 3B: rimani sempre di fronte all’opera e tiri fuori la macchina fotografica e punti l’obiettivo in vari modi per cercare l’angolo giusto e la luce buona. In questo modo si scatena il panico: c’è quello che si ferma e ti chiede se sei della televisione e se quello che stai fotografando è qualcosa di importante perché “io abito qui da tanti anni e nessuno mi ha mai spiegato che significa sto disegno”. C’è chi si ferma e rimane tutto il tempo accanto a te in silenzio e osserva l’opera; chi si insospettisce perché se stai fotografando qualcosa c’è sotto qualcosa di losco, in questo caso si ha il risultato più deleterio: scarabocchi sui muri con spionaggio in atto. Il risultato dell’esperimento è pari a quello del famoso violinista in metropolitana che non era ascoltato da nessuno, tranne che da un bambino che vuole fermarsi ad ascoltarlo. La strada da percorrere è ancora molta; non bastano accordi tra le amministrazioni ed i writers, accordi che in alcuni casi hanno il sapore dell’armistizio: su quel muro forse poteva esserci anche un Raffaello, il risultato sarebbe stato lo stesso. I wrtiters hanno bisogno di un riconoscimento artistico da parte dell’itera comunità perché siano recepite e capite le loro opere; ma alla stessa comunità, da parte dei writers e delle amministrazioni, va fatta una comunicazione chiara in modo che anche nel caso in cui l’opera non sia gradita dal punto di vista artistico, sia comunque considerata un’opera d’arte da rispettare e non frutto delle fantasie perverse dei giovani d’oggi.

Ma non è solo il riconoscimento artistico a far muovere le amministrazioni comunali con accordi scritti: in alcuni casi lo si è fatto per semplice quieto vivere e non per una maturità culturale ed artistica raggiunta. Sono infatti quasi 60 i milioni di euro che vengono spesi in Italia per la pulizia dei mezzi pubblici interessati dai graffiti; certo, la maggior parte dei writers che hanno partecipato ai progetti con i comuni delle proprie città non erano quelli che imbrattavano i mezzi pubblici, ma dall’altra parte non si fa una netta distinzione tra chi decora i muri con vere opere d’arte e chi scarabocchia con qualsiasi cosa gli capita tra le mani qualsiasi superficie pubblica.  E’ proprio questo il punto caldo, ed è proprio questo il motivo per cui anche con gli accordi citati in quasi tutte le giunte comunali, varie fazioni politiche di tutti gli schieramenti hanno mosso polemiche per questi eventi. E’ successo a Milano, è successo a Roma, è successo a Taranto…Taranto?

A Taranto accade che a febbraio del 2012 l’amministrazione comunale, seppur non interessata da correnti asiatiche, né culturali, né influenzali, chissà quindi da quali fumi inebriata – forse quelli dell’Ilva –  concede alcuni spazi ad un gruppo di temerari writers tarantini, che organizza un evento invitando anche nomi eccellenti che provengono varie città italiane

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Ma siccome Taranto non è da meno alle polemiche politiche milanesi o romane, anzi, ecco che spuntano anche qui, e a dire il vero si è fatto di meglio. Premessa, la critica ed i dubbi su un operato di un’amministrazione da parte di altre correnti politiche, opposte o di parte, può, deve……ehm…dovrebbe servire  a migliorare semplicemente la vivibilità dei cittadini proponendo loro servizi e attività adeguate alle loro esigenze; se poi la proposta è del cittadino e viene accolta da un’amministrazione, ancora meglio: vuole dire che quel cittadino non aspetta che gli piova dal cielo qualcosa, ma propone, consiglia, alcune volte addirittura può insegnare ai politici. Ma che succede quindi in occasione dell’evento unico a Taranto denominato “Acheronte”?

Mentre la stampa locale e regionale esalta l’evento c’è qualche politico tarantino che mette in dubbio il valore artistico, fomenta chi non ha ancora percepito quest’arte e prima che la capisca la si convince che è una brutta cosa, si fa appello al decoro urbano, alla identità e alla storia della città. Vecchia e sepolta politica, che gioca con le parti così come si fa al bar dello sport il lunedì; politici che non hanno ben chiaro il significato di decoro urbano, visto che tra i graffiti sui muri e una fila di auto parcheggiate sul marciapiede sono convinti che la prima è la sola lesiva.

Attendiamo nel tepore della primavera la seconda traversata di “Acheronte”, sempre che qualche “prode politico con promesse da marinaio” o forse proprio marinaio, non riesca a cancellare i lavori della prima edizione facendoci allontanare ancora di più dalla cruda e storica periferia di Philadelphia che ha esportato nel mondo una nuova forma d’arte. Buon lavoro Fenix.