Stefàno e le relazioni pericolose

di Salvatore Romeo (’84)

Quello che molti temevano alla fine si è verificato. Ezio Stefàno, in vista della prossima tornata elettorale, ha siglato l’accordo con il Terzo Polo (a dire il vero, per il momento, solo con due delle tre forze che compongono questa mini-coalizione: UDC e API). La cosa potrebbe non destare scalpore, considerata la leggerezza con cui il sindaco uscente ha sempre fatto e disfatto le sue coalizioni, ma questa volta ci sono almeno due elementi in più. Non può sfuggire infatti che l’UDC è il “partito del dissesto”.

Con il 16,4% la formazione di Casini risultò la più suffragata alle Comunali del 2005; questo le permise di conquistare ben sette consiglieri comunali e incarichi di prestigio nella seconda giunta Di Bello. In particolare, il capo del partito tarantino, Michele Tucci, assunse la carica di vice-sindaco e assessore al bilancio. Le responsabilità penali di quest’ultimo – oltre che dell’allora sindaca – sono ancora al vaglio della magistratura (dopo che la Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello, che a sua volta aveva ribaltato la condanna emessa in primo grado), ma quelle politiche sono sotto gli occhi di tutti: una città sommersa dai debiti e ridotta sul lastrico a causa di una gestione dissennata delle finanze pubbliche. Sono passati sei anni da allora e, nonostante l’on. Tucci e l’intero gruppo dirigente dell’epoca siano stati rimossi, non un solo accenno di scusa e d’autocritica è provenuto dalle fila dell’UDC (e dell’intero centro-destra): piuttosto una serie interminabile e imbarazzante di giustificazioni ed attenuanti, degne del peggior revisionismo storico. Oggi dunque è con un partito che continua a negare le proprie responsabilità nella più grave crisi finanziaria della storia della città (e del paese, se si eccettua il crack del Comune di Napoli all’inizio degli anni ’90) che il sindaco Stefàno si appresta ad amministrare per il prossimo quinquennio. Lo stesso sindaco che cinque anni fa vinse le elezioni in nome di “trasparenza” e “legalità”, promettendo una decisa svolta rispetto al passato. E che senz’altro condurrà in nome di quelle stesse parole d’ordine la prossima campagna elettorale (quanto alla reale applicazione di tali principi nell’azione amministrativa di questi anni ci permettiamo di esprimere qualche riserva, rimandando tuttavia ad altra sede una trattazione esaustiva della questione).

Vi è tuttavia un altro aspetto dell’alleanza coi centristi che non può non preoccupare. L’anno prossimo si terranno le elezioni politiche e lo scenario, al momento, non è dei più confortanti. A ben vedere il Terzo Polo si sta già ponendo come forza egemone di un progetto di ricomposizione dei cosiddetti “moderati”; si tratta di un’operazione che mira a pescare sia nel PD che nel PDL per fondare un nuovo “ago della bilancia” della politica italiana. Sul piano programmatico quest’area si identifica con le scelte più oltranziste del governo Monti: tagli della spesa pubblica, innalzamento dell’età pensionabile, abolizione dell’articolo 18, privatizzazioni… Fosse stato per Casini & co. su tutti questi delicatissimi temi sarebbero passate le “prime versioni” del governo, quelle più radicali – non che le successive mediazioni abbiamo reso meno velenosa la pillola… l’hanno semmai appena inzuccherata. Nondimeno, a nessuno sfugge che la partita che si sta giocando a Taranto non è circoscritta al mero ambito locale: la stessa insistenza di Vendola nel ribadire la candidatura di Stefàno – presentato come il candidato di bandiera di SEL – ci conferma che il governatore pugliese ha bisogno di un solido risultato elettorale alle prossime amministrative per proporsi come autorevole partner di coalizione di un eventuale nuovo centro-sinistra. Ma che posizione avrà questa alleanza nei confronti di quella che si appresta a diventare la componente centrale della politica italiana? Spregiudicate convergenze come quelle in atto a Taranto non lasciano ben sperare: Nichi e i suoi sembrano non accorgersi che, date le circostanze attuali, quella con il Terzo Polo non può essere un’alleanza alla pari. La ragione è semplice: i centristi hanno un’idea chiara (per quanto antiquata) della società che vorrebbero e programmi precisi (anche se distruttivi) per realizzarla; la sinistra rappresentata da Vendola (ancora) no. Quest’ultima oscilla fra protesta e demagogia, senza riuscire a definire una visione di futuro e un programma credibile di riforme; fa risuonare pomposi attacchi al governo in carica, ma è completamente deficitaria sul piano della proposta. In questa situazione la cosa più ragionevole sarebbe arrestare la deriva verso il centro e concentrare le forze sull’elaborazione di alternative originali. E su questa base costruire alleanze omogenee. Pare invece che la priorità sia quella di piazzare uomini del partito nelle istituzioni, per godere dei relativi vantaggi. Ma quanto potrà durare questo azzardo? In una società sempre più scossa dalle conseguenze materiali e psicologiche di una crisi durissima questa rischia di essere una prospettiva di brevissimo periodo.