Tibet e Puglia. Lettera a tutte le istituzioni pugliesi

di Annarita Digiorgio

“La Puglia vuole essere una parte di quell’Europa che, con USA e Cina, è in grado di far nascere il mappamondo della pace. I commerci e l’economia sono facilitati enormemente dalla reciproca comprensione, quando cadono i pregiudizi”.
Queste le parole del Governatore Vendola nel suo viaggio di qualche mese fa in Cina, in cui annunciò la nascita dell’Istituto di cultura cinese Confucio anche nella città di Bari, preparando una serie di progetti commerciali con quel governo.
Ma come è possibile affermare che la Cina stia costruendo “un mappamondo della pace”, a fronte delle perpetuate e tragiche violazioni e repressioni di diritti umani di cui il governo cinese è responsabile?
Il 10 marzo ricorre il cinquantatreesimo anniversario dell’insurrezione di Lhasa, capitale tibetana, contro l’invasione cinese. L’occupazione del Tibet, avvenuta nel 1950, costituì un inequivocabile atto di aggressione e violazione della legge internazionale. I militari cinesi stroncarono l’insurrezione con estrema brutalità, il Dalai Lama, seguito da circa 100.000 tibetani, fu costretto a fuggire dal Tibet e chiedere asilo politico in India dove si costituì un governo tibetano in esilio fondato su principi democratici. Attualmente, il numero dei rifugiati è sempre in aumento e l’afflusso dei profughi che lasciano il paese per sfuggire alle persecuzioni cinesi non conosce sosta. Il genocidio culturale ed etnico perpetrato a danno del popolo tibetano è ancora poco conosciuto e spesso volontariamente ignorato. Si pensi che almeno 1.200.000 tibetani sono morti in seguito dell’invasione cinese e che oggi i tibetani sono ridotti ad essere in minoranza nella loro terra – sei milioni rispetto agli oltre sette milioni di coloni cinesi – a causa della politica di colonizzazione, aborti e sterilizzazione forzata attuata da Pechino. Secondo i dati forniti dai rappresentanti tibetani in esilio, la repressione compiuta dai militari nel 2008 avrebbe provocato oltre 200 morti, mille feriti, migliaia di arrestati.
Il Dalai Lama, insignito del premio Nobel per la pace nel 1989, ha ribadito in ogni occasione di essere contrario all’indipendenza nazionale e di volere perseguire, con i metodi gandhiani, una soluzione politica che garantisca un’autentica autonomia culturale, politica e religiosa ai cittadini tibetani. Nonostante il credito e l’apertura compiuta dalla comunità internazionale nei confronti della Cina, dopo la fine dei giochi olimpici, il Governo di Pechino ha continuato ad attaccare violentemente il Dalai Lama, accusandolo di mentire e di puntare alla secessione del Tibet, come si è visto anche in occasione dell’ultima visita della guida spirituale e politica tibetana negli Stati Uniti. Recentemente il Governo della Cina ha imposto drastiche misure restrittive ai monasteri buddisti tibetani della contea di Aba/Ngaba (provincia dello Sichuan) e di altre regioni dell’altopiano tibetano, violenti raid delle forze dell’ordine, detenzioni arbitrarie di monaci, potenziamento della sorveglianza e presenza costante della polizia all’interno dei monasteri a fini di controllo delle attività religiose. Le citate misure di sicurezza sono volte a limitare il diritto alla libertà di espressione, di associazione e di confessione religiosa all’interno dei monasteri buddisti tibetani.
Nel solo 2011 almeno 13 monaci tibetani si sono dati fuoco a causa delle terribili sofferenze cui è sottoposto il popolo tibetano; alcuni di loro si trovano in condizioni di salute molto gravi e di altri non si hanno più notizie. L’inasprimento del controllo sulle pratiche religiose da parte dello Stato, in virtù di una serie di regolamentazioni introdotte dal governo cinese nel 2007, ha contribuito alla disperazione dei tibetani in tutto l’altopiano del Tibet: il controllo statale sulla vita religiosa è tale che molte espressioni dell’identità religiosa, ivi incluso il riconoscimento dei “lama reincarnati”, sono sottoposte all’approvazione e al controllo dello Stato.
Nel marzo 2011, a seguito del primo episodio di immolazione, il monastero di Kirti è stato circondato da personale armato che ha bloccato l’accesso ai viveri e all’acqua per diversi giorni; i nuovi agenti di sicurezza inviati al monastero hanno imposto una nuova campagna di “educazione patriottica” obbligatoria e oltre 300 monaci sono stati portati via a bordo di mezzi militari per essere poi detenuti in località non meglio precisate e sottoposti a diverse settimane di indottrinamento politico; il governo cinese ha accusato i monaci del monastero di Kirti di essere coinvolto in “attività finalizzate al sovvertimento dell’ordine sociale” tra cui il vandalismo e l’immolazione. Negli ultimi mesi le autorità cinesi hanno inasprito le misure di sicurezza in Tibet, in particolare nell’area circostante il monastero di Kirti, e hanno vietato a giornalisti e stranieri di recarsi nella regione; il monastero inoltre è pattugliato da agenti di polizia in assetto antisommossa, i media stranieri non sono autorizzati ad accedere alle aree più “calde” del Tibet, la televisione di Stato cinese ha omesso di trasmettere le notizie riguardanti le proteste e ai monaci è fatto divieto di parlare delle stesse.

Secondo il governatore pugliese Vendola questi sono “pregiudizi che devono cadere” nei confronti della Cina?
Può, a fronte di interessanti prospettive commerciali, la Regione Puglia rendersi silente e quindi complice di fronte alla repressione del popolo tibetano?
Sappiamo che la missione della Regione Puglia è svolta nell’ambito del Programma MAE-Regioni-Cina il cui obiettivo strategico è quello di contribuire a definire ed attivare rapporti di partenariato stabili tra tutte le Regioni italiane e le Province cinesi, in tema di politiche di sviluppo economico dei rispettivi territori.
Ed è per questo che, a partire dalla proposta dell’intergruppo regionale pro-Tibet costituitosi tra i consiglieri di tutti gli schieramenti della Regione Lazio (compresi quelli di Sel) – presente da diversi anni anche nella Regione Piemonte – abbiamo organizzato questa iniziativa a sostegno dei diritti umani del popolo tibetano, preparando una mozione che è stata presentata in tutte le regioni italiane e già accolta da Veneto, Umbria, Basilicata, Abruzzo, Lazio e Piemonte, nonché da molti Comuni, che, tra l’altro, per il 10 marzo esporranno la bandiera tibetana ai loro balconi.
La Puglia, nonostante o forse proprio in ragione di questi forti rapporti commerciali con la Cina, è l’unica fin ora reticente, con il sostanziale silenzio da parte di consiglieri e giunta.
E’ per questa ragione che chiedo a tutte le Istituzioni di sostenerla e farsene portavoci.
Invito quindi tutti gli Assessori Regionali, Consiglieri, Presidenti di provincia, Sindaci ad attivarsi in tutte le sedi affinché vengano condannate tutte le forme di violenza contro il popolo tibetano e ad esortare il governo cinese ad avviare subito politiche di dialogo nei confronti delle autorità civili e religiose del Tibet che vivono in esilio, in primis il Dalai Lama, affinché venga garantita la libertà di religione a tutti i cittadini, così come previsto dall’art.18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; e ad esporre nelle loro sedi per il 10 marzo, data dell’anniversario dell’insurrezione di Lhasa, la bandiera del Tibet.
“Nell’epoca in cui molti evocano la paura della Cina, noi lavoriamo per abbattere qualunque muro di pregiudizio e per intensificare questi rapporti. Il futuro della Cina è il nostro futuro così come il nostro futuro è anche il futuro della Cina”. Queste le parole di Vendola all’ambasciatore cinese che ha ospitato a Bari lo scorso 27 febbraio.
La paura della Cina, signor Presidente, finché è repressione di diritti umani, non è un pregiudizio.
Il nostro futuro è anche quello del popolo tibetano.