Nella valle che resiste

di Gabriele Simmini

“Bravi ragazzi, bravi”- sussurra con un mezzo sorriso un ciclista valligiano ad un gruppo di giovani venuti dall’Emilia Romagna – “noi siamo vecchi e logori ed abbiamo bisogno di voi. Grazie per questa lunga marcia e grazie per quella del 3 Luglio. Insieme si lotta e si vince.”
Mario, occhi lucidi e volto bruciato dal sole, incita ogni singolo spezzone del corteo negando apparentemente il suo “siamo vecchi e logori”. Se ne sta ai bordi della strada che collega Bussoleno a Susa, a circa metà del percorso della manifestazione che in questo sabato insolitamente caldo ed assolato ha portato circa 70.000 manifestanti in Val Susa per ribadire il no alla linea ad Alta Velocità tra Lione e Torino e per reclamare con forza “libertà” per tutti i manifestanti arrestati in seguito agli scontri del 3 Luglio 2010 nei dintorni di Chiomonte.

Tornare in Val di Susa oggi significa assistere ad un processo più unico che raro nel frammentato panorama politico italiano. Attraversare la maestosità e la bellezza della natura in questa valle che fa gola a troppi imprenditori, politici e faccendieri significa cavalcare in groppa al più grande nervo scoperto della cultura sociale, politica ed economica del fu Belpaese. Significa tastare con mano il ribaltamento delle forze in campo e della consuetudinaria quanto troppo sbandierata democrazia italiota.
La giornata, per quanto sia stata ricca e densa di interventi e partecipazione, si racconta per strada, nella facce e nei cartelli che si incontrano nei lunghi 8 chilometri che da Bussoleno portano all’imbocco della Valle che da lì in poi diventa più stretta e rigogliosa. Ci sono tutti coloro che devono esserci, come da anni oramai. Gli amministratori ed i cittadini della Val Susa, gli attivisti dai centri sociali di tutta Italia, i parenti e gli amici degli arrestati lo scorso 26 Gennaio su mandato del super-procuratore Caselli, il popolo dei beni comuni, le associazioni ambientaliste, le famiglie, i bambini, qualche partito politico, qualche sindacato e gli anziani ciclisti come Mario.
La manifestazione è pacifica e il corteo procede senza particolari problemi lungo il percorso stabilito. Gli slogan e gli interventi che si susseguono rimarcano con fermezza la chiara richiesta di libertà per tutti i manifestanti raggiunti da misure cautelari nel gennaio scorso. “La lotta per i beni comuni non si arresta” è il leit-motiv della giornata urlato dalle migliaia di persone che, instancabili e sorridenti, sono tutt’altro che scalfiti dai corpi estranei che hanno militarizzato il cantiere di Chiomonte e che prossimamente si apprestano a potenziare la loro presenza.
“Le leggi ingiuste si ignorano” rilancia il leader dei NoTav, Alberto Perino, facendo riferimento alle scadenze delle prossime settimane, quando si procederà all’allargamento del cantiere per la costruzione della linea ad Alta Velocità che interesserà 3 ettari di terreni circostanti e di cui la metà (più di un ettaro) è di proprietà del comitato Notav. I valligiani promettono forme di disobbedienza e resistenza volte ad impedire questa “invasione” indesiderata chiamata esproprio, come rifiutano la legge che vieta qualsiasi accesso al cantiere perché considerato “sito di interesse strategico nazionale”.
Nella giornata di sabato, quindi, precipitano senza equivoci richieste e promesse. Richieste di libertà per chi si oppone e si è opposto anche fisicamente alla costruzione di un’opera ormai famosa tanto per il suo basso grado di utilità sociale quanto per l’alto grado di nocività ambientale ed economica. Promesse di nuovi sentieri da tracciare per ristabilire diritti e democrazia in una valle espropriata da un manipolo di politici, tecnici e professori che si ostinano a voler colonizzare un territorio per distruggerlo.
In questa Italia di innegabili tensioni sociali e giochi parlamentari al ribasso, in cui le coordinate politiche di riferimento si spostano velocemente dal sistema destra-sinistra all’asse alto-basso (leggesi ricchi vs poveri) l’ultima immagine, in serata, ci regala il perfetto meccanismo di controllo sociale e terrorismo mediatico che pervade uno Stato malato e, esso si, evidentemente riottoso.
La vergogna si rinnova nei fatti della Stazione Porta Nuova a Torino in serata, quando circa 600 manifestanti si apprestano a salire sul treno per tornare a Milano, Napoli e Roma. La lunga giornata sotto il sole e la marcia verso Susa non hanno scalfito la gioia e la passione dei tanti partecipanti che, invece, si ritrovano non davanti – bensì alle spalle – le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, pronte a caricare in maniera indiscriminata giovani e famiglie. I racconti in rete parlano di lanci di gas lacrimogeni e manganellate improvvise alle spalle dei manifestanti che si apprestavano a salire sui treni, di irruzioni violente nei vagoni ad opera di veri e propri “robocop”.
Così, purtroppo, si deve chiudere il racconto della giornata per il popolo Notav e per i movimenti dei beni comuni. Basta leggere i nomi di chi ha guidato la carica insensata per farsi un idea della scelleratezza delle scelte operate delle forze dell’ordine. A capo della Polfer di Torino ritroviamo Spartaco Mortola, ex dirigente della Digos a Genova nei famigerati giorni del G8 del luglio 2001. Il Mortola della Scuola Diaz e di Bolzaneto, delle molotov fasulle e delle teste spaccate.
I quotidiani nazionali, da parte loro, incalzano gaudenti titolando su fantasiosi “autonomi ed anarchici” che attaccano e provocano scontri. Riappare così la cornice interpretativa – tanto cara a governi di destra e sinistra, magistrati zelanti e alla stampa casalinga – della “Val di Susa violenta ed eversiva” . Cornice che, accantonata nel pomeriggio davanti alla marcia dei 70.000, riappare in serata già nelle testate online dimenticandosi di come i fatti, prima di essere interpretati, vanno osservati e raccontati.
Nella fase dei tecnici delle misure scientifiche le metafore umanistiche calzano a pennello. Se una banda di tecnocrati, rettori e banchieri aggredisce in forma legislativa e indebitamente “riformista” le fasce più deboli, gli studenti, i precari, gli operai,etc. – le forze di Polizia del signor “600mila euro l’anno” meglio conosciuto come Manganelli aggrediscono fisicamente quella forza sociale e politica composta da tanti e diversi che ogni giorno lotta per un futuro migliore e più giusto, partendo anche dalla Val Susa e dai beni comuni.
Aggredire alle spalle – qualcuno direbbe “…come gli infami…” – è il nuovo corso utile a chi vuole disinnescare qualsiasi meccanismo di aggregazione sociale e solidarietà politica volta a cambiare dal basso l’esistente senza ricorrere alle formule di rito o al “salvatore della patria”. Ma “al cuor non si comanda” e una battaglia lunga 22 anni non si condensa certamente nelle basse provocazioni dopo una giornata che ha mandato un segnale importante a chi si augurava la sfaldatura del movimento attraverso la contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”, tra violenti e non. Ma il popolo dei Notav sembra compatto e omogeneo oggi come il 3 Luglio e decide volta per volta quali pratiche di lotta adottare e con quale intensità agirle per garantirsi un futuro (ed un presente) libero dalle opere inutili, dalle speculazioni, dal dissesto ecologico ed economico.
Quella che ad alcuni commentatori ammuffiti sembra esclusivamente una estrema forma di resistenza ancestrale e filo-montanara somiglia, invece, sempre più alla sperimentazione, qui ed ora, del tanto agognato “altro mondo possibile”.