Il Governo Monti e la privatizzazione di fatto dell’Università Pubblica

di Remo Pezzuto

Il Governo dei “Professori”, in perfetta continuità con il Governo Berlusconi, sta varando una serie di decreti che non fanno altro che portare avanti la contro-riforma Gelmini nel mondo universitario. Quando l’opinione pubblica è tutta concentrata sull’attuale dibattito tra l’abolizione o no dell’articolo 18 e la riforma del mercato del lavoro, si sferrano pesanti attacchi all’autonomia dell’Università Statale e alla sua funzione essenziale di luogo della formazione di qualità per tutti. Il Governo su questo tema sta emanando molteplici decreti, che mirano a far diventare l’Università Pubblica una università sempre più d’elitè, con tasse molto alte per gli studenti, con un diritto allo studio sempre meno garantito, con una corposa riduzione di Corsi di Laurea definiti “inutili” e soprattutto con meno docenti. Un meccanismo che porterà alla privatizzazione se non sostanziale dell’Università, ma almeno di fatto.

Gli attuali decreti sul diritto allo studio, accreditamento e reclutamento, proposti dal Ministro Profumo, ripropongono in maniera sottile la volontà di abolire il valore legale del titolo di studio. Non abbiamo mai pensato che il dietrofront fatto lo scorso mese dal Governo Monti, per rendere più settario il mondo universitario, fosse assoluto. Infatti questi decreti mirano essenzialmente a peggiorare la condizione del mondo accademico, riorganizzando i saperi e il sistema universitario nel suo complesso. Il Decreto sul Diritto allo Studio, dopo i numerosi tagli operati su questa importantissima voce, prevede essenzialmente l’aumento delle tasse regionali per il DSU, che faranno ricadere come al solito, le spese da sostenere sulle spalle di noi studenti. In questo modo, paradossalmente, saremo i primi a sovvenzionare i servizi che ci spettano di diritto dalle agenzie regionali e anche se questi provvedimenti porteranno ad un copertura maggiore delle borse di studio, questa soluzione non risponderà assolutamente all’esigenza di rifinanziamento del Diritto allo Studio da parte dello Stato e delle Regioni.

L’attuale sistema di valutazione delle Università e dei Corsi di Laurea riceverà una profonda riforma, visto che da un sistema di valutazione interna e dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca) – essenzialmente basata su criteri previsti dal MIUR e che premiano con l’erogazione di maggiori finanziamenti gli atenei “virtuosi” – si passerà ad un sistema di accreditamento. Il decreto stabilisce che l’Anvur, l’agenzia di valutazione creata dall’ex Ministro Gelmini e composta da 7 persone nominate direttamente dal Ministro, stabilirà i criteri di valutazione degli atenei. Tutte le Università dovranno essere accreditate dall’Anvur e se non dovessero acquisire un parere favorevole, potrebbero essere chiuse oppure fuse (senza potersi opporre), facendo ritrovare gli studenti iscritti a quell’ateneo da un giorno all’altro senza università. I Corsi di Laurea saranno valutati con lo stesso sistema delle sedi universitarie e si rischia che si decida in maniera assolutamente autonoma, la chiusura o l’accorpamento di corsi.

In questo modo l’Anvur, riceverà un potere enorme, non controllabile dal Miur, che attuerà uno strumento di valutazione “punitivo” nei confronti di tutti quegli Atenei che non rispettano i parametri – non invece un sostegno al miglioramento dell’offerta formativa – che permette persino di chiudere un ateneo, senza tener conto degli studenti, dei docenti e dei tecnici che in quell’ateneo lavorano. Un sistema così strutturato mette in difficoltà le università del sud che già ad oggi spesso si collocano nei gradini più bassi delle classifiche. Se fosse creato un sistema di valutazione basato sulle caratteristiche delle università del nord, che già oggi vivono una situazione migliore, le altre si ritroverebbero semplicemente impossibilitate a raggiungere i livelli degli altri atenei, in quanto partono da una situazione peggiore.

Il reclutamento nelle Università, attualmente limitato a causa del “blocco del turnover”, che prevede le riassunzioni nei limiti del 50% del personale andato in pensione, solo se il rapporto tra stipendi del personale risultasse inferiore al 90% del Fondo di Finanziamento Ordinario, divide gli atenei tra virtuosi e non, obbligando questi ultimi a rivedere la propria offerta formativa sulla base dei requisiti minimi previsti dal D.M 17. Con il nuovo decreto si divideranno gli interessi delle componenti universitarie, mettendole in competizione tra loro. A causa degli ormai scarsi finanziamenti da parte dello stato, l’unico modo per alimentare l’FFO degli atenei sarà quello di aumentare le tasse degli studenti (già tra le più alte d’Europa). In questo modo rischieremo di trovarci contro i precari, ricercatori, docenti e personale tecnico amministrativo, interessati ad essere assunti a tempo indeterminato o ad un passaggio di carriera. Inoltre c’è il rischio che a causa della non sostituzione di tutti i docenti andati in pensione, si possa verificare una carenza di personale, sostituito interamente da una concorrenza del personale precario dell’Università.

Il sistema che il governo sta portando avanti è quello basato sul “dividi et impera” e sulla competizione interna agli atenei tra le diverse categorie e sulla competizione esterna per la sopravvivenza delle varie Università. Queste, anche alla luce della necessità di garantire il rispetto dei requisiti minimi, a fronte di costanti pensionamenti, si troveranno dinanzi ad un ricatto, dovendo scegliere se dover chiudere dei Corsi di Laurea o garantire la didattica attraverso contratti a titolo gratuito (laddove si rispettino i già citati requisiti minimi) oppure offrire una didattica di maggiore qualità e la sostenibilità dell’offerta formativa dovendo però rispettare il nuovo rapporto tra assegni fissi, FFO e tasse, cercando di porsi al di sotto del 70%. Per far questo si dovrà obbligatoriamente prevedere un aumento generalizzato delle tasse universitarie quale unica via per la sopravvivenza.

Sta passando l’idea che l’Università Pubblica, che ha un costo per lo Stato, sia in realtà uno spreco e non un investimento per lo sviluppo dell’Intero paese. C’è bisogno di selezionare e non garantire più un’ampia scelta ai giovani studenti, che si troveranno anche con un numero più grande di barriere all’accesso. Sta a noi alimentare ora un dibattito serio e critico all’interno delle aule universitarie e non solo, facendo ripartire una mobilitazione studentesca contro queste scelte che privatizzano di fatto l’Università, limitando in questo modo l’accesso al Sapere. Dobbiamo essere noi i guardiani della Conoscenza e invertire la rotta politica dell’interno paese per una difesa estenuante di una Università Pubblica, che deve essere garantita a tutti e di qualità.