“E poi il ritorno in un paese diviso, più nero nel viso…”

di Remo Pezzuto

Mentre ascolto “Aida” di Rino Gaetano, mi rendo conto quanto questa canzone possa essere sempre attuale. Scritta verso la fine degli anni settanta racconta attraverso gli amori e gli umori di una donna, i cinquant’anni precedenti della storia d’Italia. Sembra non essere cambiato nulla da allora. La stessa situazione sociale. Le stesse paure. “I compromessi, la povertà, i salari bassi” sembrano descrivere l’attuale situazione politico-economica del nostro paese. Sembra che la storia si ripeta continuamente e che le crisi generino come sempre delle situazioni in cui la democrazia e i diritti vengono messi in secondo piano, non solo in nome del profitto, ma soprattutto in nome di una intolleranza che genera violenza verso chi è diverso, verso chi è più debole. Sembra più che mai attuale il verso “e poi il ritorno in un pese diviso, più nero nel viso, più…”. Vorrei terminare con “più rosso d’amor” ma l’unico cosa a cui riesco a pensare ora è l’assoluta assurdità di chi cerca oggi di dividere il paese, non solo tra abitanti del nord e del sud, ma soprattutto tra italiani e migranti, scagliandosi contro chi, solo perché di colore differente, merita di essere ucciso. Come è successo a Firenze, per mano di un uomo che

Gli episodi di Torino e Firenze sono frutto di una determinata classe politica che in tutto questo periodo ha voluto revisionare completamente la nostra storia definendo di “matrice sovietica” la nostra Costituzione, che ha voluto equiparare il ruolo dei caduti della Resistenza con i fascisti repubblichini di Salò, che ha apertamente svalutato storicamente e politicamente i valori Antifascisti della Repubblica Italiana. C’è ancora molto retaggio di fascismo nelle strade e nelle istituzioni di questo paese. Quelli di Firenze e Torino sono forse gli ultimi episodi, ma potrei elencarne di aggressioni a migranti, a studenti di sinistra e persino a disabili perpetrate in tutta Italia da parte di associazioni, gruppi studenteschi e piccole e tristi imitazioni di movimenti che dichiaratamente si ispirano ai valori , alle idee, alle parole d’ordine del fascismo.

Queste manifestazioni trovano peraltro corrispondenza in varie iniziative istituzionali: pensiamo alle ronde promosse qualche anno fa dalla Lega Nord, pensiamo all’innalzamento dei costi della tassa per il permesso di soggiorno – quando persino il pensiero conservatore europeo parla di spazio legale di regolarizzazione dei migranti, proprio ai fini del controllo e della sicurezza di tutti –, che costituisce un pericoloso incoraggiamento alla clandestinità; oppure pensiamo alla richiesta di delazione riferita ai medici: questi non avrebbero dovuto curare i clandestini mentre, ai sensi della nostra Costituzione e del loro stesso giuramento, sono tenuti a prestare assistenza, senza discriminazione alcuna, verso chiunque ne abbia la necessità. E’ lo stesso concetto che emerge dal reato di clandestinità, introdotto dal governo Berlusconi, che impone l’idea che si è colpevoli perché si assume un determinato status e non perché si è commesso un fatto. Quando uno Stato assume su di sé la facoltà di discriminare non c’è ostacolo alla degenerazione autoritaria ed al cimitero dei diritti.

E’ proprio nella crisi del modello democratico che, come ha dimostrato Herman Heller (giurista e politologo tedesco), i totalitarismi e le loro folli risposte ai problemi seri e reali trovano il loro terreno fertile. Ecco perché credo che proprio oggi, in questo periodo, nel pieno della crisi dell’economia e della rappresentatività delle democrazie progressive, gli sviluppi della relazione tra culture xenofobe e conati di neofascismo possano creare effetti nuovamente nefasti. Perché a fronte della brutalizzazione dei rapporti sociali ,che discendono dagli abbassamenti del tenore di vita, ci sono parti consistenti delle giovani generazioni senza memoria politica, vittime di un rimosso storico e di un individualismo desolante, che rischiano, attraverso l’innesto di un avanguardismo cieco sul disagio sociale, di subire il fascino della violenza e dell’ideologia che ne consegue.

Essere Antifascisti e Antirazzisti oggi significa voler essere partecipi di un cambiamento necessario ad una società che, chiusa nel suo egoismo, vede i giovani solo come potenziali consumatori di merce. Viviamo il paradosso di un società che invecchia, ma usa l’immagine dei giovani per farsi schermo – illudendoci che essa non rappresenti ormai una fase decadente ed obsoleta –; e che tuttavia, contemporaneamente, ha paura delle richieste di partecipazione dei giovani. Questa contraddizione si manifesta nell’emigrazione giovanile: essa esiste perché le classi politiche e le lobby mantengono chiuso l’accesso ai soggetti in formazione che non vogliono vendersi  e prostituirsi al “Potere”.

E’ proprio dai luoghi della formazione e del sapere che si deve costruire e organizzare una impermeabilità politica e culturale, che arrivi nei luoghi del disagio sociale, nel cuore delle metropoli umanamente desertificate, nelle corde profonde della sensibilità delle nostre generazioni, capace di produrre gli anticorpi culturali alla violenza come unica sublimazione della rabbia. Solo una cultura accessibile a tutti e libera dai meccanismi del mercato può essere capace di contrastare l’idea della violenza, dell’odio, dell’intolleranza e anche il servilismo di chi è capace solo di eseguire senza discutere le scelte fatte da chi detiene il potere. Il nostro futuro è caratterizzato da un estremo precariato dove tutto deve essere collegato alle esigenze del mercato, dove i lavori precari di giovani e migranti sono accomunati da una dignità calpestata in nome del profitto.

Oggi essere Antifascisti e Antirazzisti significa esprimere i valori della solidarietà verso tutti i migranti che continuano a giungere nel nostro paese, sbarcando sulle nostre coste, spesso respinti o rinchiusi nei CIE. Questa è l’unica risposta che questa società sembra voler dare ad un mondo sempre più in crisi per guerre mirate a depredare le ricchezze del terzo mondo, mettendo in atto politiche neocoloniali e di globalizzazione capitalista. Rifiutare queste scelte vuol dire lottare per una società ed un futuro diverso, come fecero i Partigiani prima di noi – che decisero di abbattere il fascismo e dare all’Italia una Costituzione democratica, che oggi stanno pian piano abbattendo. Oggi, come durante il fascismo, si vorrebbe vietare di manifestare, criminalizzando le proteste e agitando leggi di polizia non troppo dissimili dal quelle fasciste, mandandoci contro gli uomini in divisa o usando l’infiltrazione e la provocazione di gruppi neofascisti.

Oggi essere Antifascisti e Antirazzisti significa vigilare e diffondere i valori costituzionali e democratici dell’uguaglianza e della solidarietà, dove tutti siamo in realtà cittadini del mondo, senza alcuna distinzione. I luoghi del sapere rappresentano quindi un baluardo per un contrasto indispensabile nei confronti di gruppuscoli come Blocco Studentesco e Casa Poud (fino a tutti i loro affini). Difendere la nostra Costituzione è il primo passaggio, insieme a tutte le organizzazioni e associazioni che si rifanno ai valori dell’Antifascismo, anello di collegamento tra vecchi e nuovi partigiani.