Una manovra “salva-banche”

Il Professore Monti si è sempre comportato e presentato per quello che è: un economista convinto fautore del libero mercato, che ha ottimamente preservato in qualità di Commissario Europeo alla Concorrenza fino al 2004. Tante cose si potrebbero dire sulla recente manovra. Mi soffermerò sugli elementi che rivelano l’ applicazione “ad intemittenza” delle teorie neoclassiche da parte del nostro Presidente del Consiglio. Le emissioni di obbligazioni bancarie a tasso fisso dai tre ai sette anni saranno garantite dallo Stato, per esempio; è veramente incredibile scoprire che l’economista co-autore del modello Monti-Klein – cioè il modello che vorrebbe dimostrare come sia assolutamente improponibile introdurre una qualsiasi forma di controllo governativo sulle banche private per incentivare la concessione del credito – sia ritornato sui suoi passi. In soldoni ciò significa che il fallimento di un istituto di credito italiano (una società privata) non è ammissibile per il re del liberismo Monti; e la libera concorrenza che fine fa? Qualcuno potrebbe dire : ”Chiunque capisca di economia sa bene che, in un momento drammatico come questo, caratterizzato da sfiducia e da diffidenza, le banche non concedono prestiti tra loro perché non sanno quale di esse fallirà domani o quale rimarrà in vita: meglio non scherzare con il fuoco – leggi fallimento Lehman con tutte le sue conseguenze – per non trovarsi a fronteggiare problemi potenzialmente irrisolvibili; meglio, cioè, stendere la rete di protezione per tutte le banche nel tentativo di ricostruire un clima di fiducia e permettere alle banche di concedere liquidità all’economia reale.” Passaggio ineccepibile che però merita alcune considerazioni sulle conseguenze che un caso di “fallimento di mercato” così clamoroso dovrebbe indurre a trarre. Questa considerazione non è da poco se si pensa che i grandi debiti pubblici che oggi ci troviamo ad affrontare sono sostanzialmente il frutto di socializzazione di perdite private – altro che “vita al di sopra dei nostri mezzi”. Anche quelli che dicono – sbagliando – che la “finanza” è la causa della crisi attuale, devono riconoscere che questo “salvataggio” implicito è una distorsione del libero mercato, avallata proprio da chi ha creato un modello matematico per dimostrare la validità del “lasciar fare in ambito bancario”. Ciò è ancora più paradossale se si pensa che il Presidente Roosevelt nazionalizzò nel 1933 le banche americane capaci di stare in piedi (chiudendo le altre ed assumendo la garanzia dei fallimenti) quando capì che la banche private, in piena Grande Crisi, non avrebbero mai concesso prestiti all’economia reale in recessione. In pratica le banche private conservavano nei loro caveau tutti i soldi che lo Stato gli passava nella speranza che queste le prestassero agli imprenditori ed alle famiglie. E tutto ciò per il timore di un ulteriore crollo dell’economia e di una mancata restituzione dei prestiti fatti. Insomma: coerenza vorrebbe che, una volta “aiutate” le banche (e Monti lo fa con questa manovra), un fautore del libero mercato dovrebbe prendere atto che “la mano libera” ha fatto cilecca e dovrebbe nazionalizzarle, esattamente come fece Roosevelt. Naturalmente ciò non accadrà mai sotto la Presidenza del Professore.

Il professor Monti si è però comportato da perfetto liberista in materia fiscale: la manovra, a parte balzelli irrisori su auto di extra-lusso e barche private, non si accorda con l’Art. 53 della Costituzione Italiana, che sancisce la progressività delle imposte; l’IMU sulla prima casa applica un’aliquota fissa per tutti sul valore catastale dell’immobile, se si eccettuano esigue detrazioni strappate sul filo di lana prima del voto di fiducia; l’IMU sulla seconda casa, invece, si dimostra addirittura regressiva per i grandi patrimoni (nel senso che in proporzione i più ricchi pagano meno dei più poveri). Le teorie macroeconomiche liberiste predicano, appunto, una ridotta tassazione su redditi e patrimoni di chi “produce” di più perché il surplus, se non tassato, dovrebbe essere reinvestito in attività produttive. Se così fosse in Italia non ci sarebbe evasione fiscale e la quota di PIL italiano reinvestita in capitale industriale sarebbe in linea con il resto d’Europa. Sappiamo che non è così: chi produce basando le proprie fortune sulla deflazione salariale (abbassamento dei costi di produzione ottenuto abbassando i salari reali) sa bene di non essere un imprenditore “competitivo” quanto a capacità innovative; questo tipo di padrone non ha bisogno di sforzarsi più di tanto per migliorare la sua produzione; se può tagliare i salari lo fa e, molto spesso, esporta i guadagni in Svizzera senza sognarsi neanche di reinvestirli nella propria azienda. E’ così che l’Italia, se si eccettuano le grosse produzioni industriali e alcune rare eccezioni di nicchia, è stancamente scivolata in coda alla classifica dei paesi europei competitivi fino a diventare il paese contoterzista dei semilavorati per lla Germania. Possiamo stare certi che il prossimo passo di questo Governo sarà l’ulteriore “flessibilizzazione” del mondo del lavoro italiano: qui il professor Monti (ed il Ministro Fornero) saranno “liberisti” più che mai, nonostante i dati empirici dimostrino che maggiore libertà di licenziamento e minori protezioni sul lavoro non siano direttamente correlate a maggiore occupazione[1]. (R.P.)


[1] Lo studio OCSE intitolato “Growing Unequal” (2008) ha dimostrato in modo inequivocabile che l’Italia è il paese dell’area OCSE  i cui lavoratori dipendenti hanno perso più garanzie rispetto agli omologhi degli altri paesi tra il 1998 ed il 2008.