I Lanzichenecchi della Cultura. Lo strano caso dell’ex convento San Francesco

di Remo Pezzuto

Ancor prima del nostro insediamento in Città Vecchia, nell’ormai tanto citato ex Convento San Francesco, tutti sapevamo che il volto di quello che fu il fulcro della vita culturale della Magna Grecia – e che dovrebbe essere il centro del sapere del Polo Universitario Jonico – sarebbe cambiato e sicuramente migliorato. Sono stato io stesso fra i capofila della schiera di folli menti di studenti, docenti e ricercatori che, in controtendenza rispetto alla classe politica tarantina – impegnata nel frattempo ad allargare la città con “varianti” e la periferizzazione delle sedi universitarie –, ha scommesso nella ripopolazione del centro storico e del meraviglioso sito. Con ciò eravamo convinti che non solo sarebbero migliorate le condizioni di vita degli universitari tarantini, prima ospitati da da sedi a dir poco fatiscenti e indegne di essere definite “universitarie”, ma che lo stesso Polo Jonico avrebbe avuto quello slancio culturale (e forse sviluppo) che aspettavamo da ormai tanti anni.

Il tanto atteso trasferimento è avvenuto a settembre: in fretta e furia tutti si sono dati da fare per accogliere dai primi di ottobre gli studenti universitari all’interno della nuova sede. La ditta delle pulizie con ritmi serrati – quasi da catena di montaggio – hanno ripulito ciò che in tanti anni, dalla fine dei lavori, si era sedimentato sui sei piani della struttura. L’installazione del nuovo e vecchio mobilio è avvenuta tutta in 15 giorni, il trasferimento delle segreteria anche. In maniera rapidissima si è data finalmente una svolta decisiva a quella che agli studenti appariva ormai come una prosopopea, visto che da circa 8 anni gli veniva ripetuto: “Il prossimo mese ci trasferiremo”.

Sin dall’inizio ci siamo resi conto che le nostre condizioni all’interno della struttura sarebbero state per un breve periodo un po’ precarie, ma non ci siamo minimamente posti il problema. Già il fatto di studiare in una vera biblioteca, di avere un tetto dignitoso e spazi finalmente dedicati a noi, ci aveva resi orgogliosi della nuova situazione. Lasciamo stare il fatto, ad esempio, che gli scaffali dei libri fossero in ferro e non magari in legno – come avrebbe richiesto un senso quasi solenne di rispetto per la bellezza della struttura – oppure che i tre piani sotterranei (dove sono situati gli studi dei docenti) non fossero ancora del tutto pronti, i laboratori ancora spogli, la linea telefonica e internet da allacciare; l’importante era aver fatto finalmente questo passo.

Ma, ad un certo punto, lo stupore iniziale è terminato. Appurato che il nostro trasferimento era finalmente avvenuto e palesato il nostro compiacimento per aver messo piede in Città Vecchia, le problematiche che ho sopra elencato,hanno iniziato a sembrarci un grande ostacolo al nostro diritto allo studio e alla funzionalità piena della struttura. Numerosi convegni si susseguivano giorno dopo giorno, su svariati temi culturali e scientifici, ma le condizioni e le problematiche elencate non vedevano alcuna risoluzione. Ci è sembrato a questo punto di frequentare solo un grande e storico contenitore, che in realtà non aveva i minimi servizi per noi studenti universitari, diventati paradossalmente, dopo i tagli del Governo, i primi sostenitori e finanziatori dell’Università Pubblica.

Le miriade di domande passateci per la mente hanno messo in discussione ogni nostro sentimento di felicità per il trasferimento. Possibile che tutti i lavori non fossero stati fatti e pensati prima del nostro arrivo? Ad esempio l’allaccio alla linea telefonica, che permette agli studenti di chiamare e chiedere informazioni, oppure agli impiegati stessi di lavorare sui terminali, mettere gli avvisi sul sito web e in questo modo essere posti nelle condizioni di svolgere al meglio il loro lavoro? Possibile che siano sono 7 gli impiegati delle pulizie, naturalmente tutti con lo stesso contratto di lavoro (1 ora e 30 al giorno), per una struttura così grande? Possibile che con tutti i soldi spesi e stanziati per l’acquisto del nuovo mobilio solo pochissime aule (5 per l’esattezza) hanno banchi nuovi? E comunque si è costretti a seguire seduti sul pavimento per la mancanza di sedie? E’ possibile che nella sala lettura non ci siano luci adatte?

A queste domande nessuno ci ha saputo dare una risposta, né il personale dell’Università, né i presidi, né tanto meno i responsabilità maggiori, ossia i dirigenti del Polo Universitario Jonico. Più volte ci siamo appellati a loro e abbiamo chiesto spiegazioni, ma le risposte sono state sempre le stesse: “I lavori verranno fatti, piano piano, ma verranno fatti”; “Stiamo provvedendo”; “Stiamo cercando i soldi”. E’ come se dal Marzo 2009 (mese in cui c’è stato la consegna della struttura e il passaggio con il comodato d’uso dal Comune all’Università) ad oggi non fosse stato fatto assolutamente nulla. Solo ora, proprio con il nostro insediamento, si aprirà un vero e proprio cantiere durante le nostre giornate di lezione e di studio.

Mi fa rabbrividire il solo pensiero di vedere gli operai montare ora gli allarmi e i fili dell’anti-incendio – come se non fossero le prime cose da fare all’interno di una struttura pubblica – mentre gli estintori che possiamo “vantarci”di avere sono scaduti nel 2005. Per quanto sia una struttura storica, non vogliamo che sia “storica” anche la sicurezza al suo interno. Dal Rettore in persona mi è stato detto, dopo la nostra denuncia, che dobbiamo aspettare ancora un po, che i lavori verranno fatti il prima possibile e che è normale avere qualche problematica dopo soli 3 mesi dal trasferimento. Vogliamo confidare nelle sue parole, voglio ancorarmi al suo senso di responsabilità verso l’intera comunità studentesca e dire che aspetteremo ancora un po’, ma precisiamo: non molto; e che comunque ci approcceremo con spirito critico ad ogni cosa che non va. In fondo apparteniamo tutti alla grande famiglia dell’Università degli Studi di Bari.

Riportando il discorso invece ai momenti precedenti il nostro trasferimento all’interno della nuova sede, sapevamo e speravamo anche che questa sarebbe diventata il centro non solo dello sviluppo universitario, ma anche di quello culturale. Visti gli ampi spazi, si sarebbero potute ospitare tutte quelle esperienze che avrebbero voluto contribuire alla crescita della città. Come già detto, i convegni all’interno dell’Ex convento San Francesco, si sono susseguiti di giorno in giorno, da quelli più politici, come “il futuro del Polo Scientifico tecnologico di Taranto” a quelli di sfondo sociale come “La giornata mondiale contro l’Aids e la sua prevenzione”. Nulla ci ha mai fatto ricredere su questo ruolo dell’Università, sintesi e centro del sapere cittadino.

Il pensiero di tenere tutta per noi questa meravigliosa struttura non ci ha mai neanche sfiorato, ma ad un certo punto, quando piuttosto che farla vivere interamente agli studenti, in realtà la si apriva solo agli esterni, abbiamo iniziato a storcere il naso. Quando alla nostra richiesta di utilizzare l’ex chiesetta, ora adibita a spazio di rappresentanza e convegni, per un seminario da noi organizzato ci è stato risposto in maniera negativa, abbiamo ben capito che quella struttura ormai aveva perso qualunque carattere universitario e studentesco. Un bel gioiello da sfoggiare nelle occasioni mediatiche e politiche, meno per la reale sua funzione. E’ sotto gli occhi di tutti ormai la sovraesposizione mediatica della struttura, forse anche dovuta a noi studenti che molto volentieri esterniamo i nostri disagi entrando nel merito delle cose che non vanno. Le aspettative erano grandi e pertanto è normale che chiediamo quello che ci è dovuto.

Spesso però gli interessi legittimi di noi studenti vanno a scontarsi con logiche di potere che non ci devono vedere partecipi, ma che indirettamente ci coinvolgono e colpiscono. Proprio questa settimana, il Rotary Club della nostra città, nota “associazione di beneficenza” (si fa per dire naturalmente), ha tenuto una iniziativa all’interno della struttura, in particolare in quello spazio che ci era stato rifiutato. Non una iniziativa comune e di carattere pubblico, non un semplice convegno, ma un ricevimento a cui hanno partecipato le più alte cariche, con un buffet e tavoli banditi da fare invidia ad una sala di un lussuosissimo “Ristò”.

Non poniamo il dubbio su chi abbia sovvenzionato la serata (Il Rotary), perchè altrimenti avremmo tutti i motivi per essere incavolati, ma ci chiediamo se il carattere simposiaco sia in realtà da accettare all’interno di quello che è il “sancta sanctorum” del Sapere. Come se la convivialità abbia un carattere culturale. E anche se volessimo accettare questa idea, quello che ci chiediamo è: perchè a noi studenti viene preclusa ogni iniziativa culturale all’interno di determinati spazi? Perchè non possiamo proporre eventi extradidattici oltre il normale orario di apertura della sede, mentre ad altri questo è permesso e, ribadisco, non per eventi pubblici? Questo a mio parere è mercificazione dei luoghi del sapere e della cultura.

Che il pensiero gelminiano di aprire l’università ai privati si sia già ben radicato nei nostri dirigenti, che sperano in questo modo di attrarre fondi o di permettere che gli esterni siano privilegiati rispetto agli interni? In fin dei conti, come dicevo, chi sovvenziona realmente l’università, oggi, siamo noi studenti, con i nostri contributi e le nostre cospicue tasse, a cui non corrispondono ormai servizi; e abbiamo quindi tutto il diritto di vivere la struttura e l’Università in ogni tempo e spazio che vogliamo. Non possiamo permettere che si oltrepassi il limite della decenza: la nostra partecipazione alla vita universitaria passa anche da questo, nella tutela del carattere e uso pubblico delle strutture universitarie, da preservare come “bene comune”.