Il cetriolo è servito

Domenica ricca di emozioni come poche questo 4 dicembre. No, non si tratta di risultati calcistici improvvisamente ribaltati dalla prodezza di questo o quel campione, ma alla partita più importante che il nostro paese stia giocando in questo momento: quella della manovra economica. Prima emozione: sorpresa. Sinceramente mai avrei pensato di dover ringraziare Michele Emiliano e la sua ossessione per i social network. Oggi in qualche modo tale atto gli è dovuto. Grazie ai “tweet” del sindaco di Bari siamo riusciti a sapere quasi in tempo reale con la riunione fra governo ed enti locali e con qualche ora di anticipo rispetto alla loro esposizione pubblica i dettagli della prima operazione di bilancio del governo Monti. Emiliano è stato anche molto chiaro sul contenuto politico della stessa: “bisognerebbe alzarsi e andar via; qui tutto è deciso”. Seconda emozione: pena. Guardo Giuliano Pisapia in diretta a “In mezz’ora” e non riesco a reprimere l’imbarazzo che si fa sempre più asfissiante ad ogni sua risposta. Il senso del suo discorso è “molto gravi le cose che emergono dalla riunione romana (fra l’altro un taglio di 5 miliardi agli enti locali!), non ce l’aspettavamo; ma si tratta di misure necessarie per il momento, speriamo che fra qualche mese ci sarà una patrimoniale che ristabilisca l’equità.” Pisapia ha l’aria di un pugile suonato, la stessa che probabilmente nei prossimi giorni deformerà le facce fino a qualche giorno fa sprizzanti entusiasmo della “gente di sinistra”. Sarebbe troppo facile oggi dirgli “ve l’avevamo detto”, se non fosse che anche noi fino all’ultimo abbiamo creduto in un Monti “doroteo”.
Oggi invece Monti e tutta la sua squadra si mostrano per quello che hanno sempre detto di essere, con estrema onestà intellettuale: degli intransigenti liberisti, intenzionati ad applicare fino all’ultima virgola i precetti appresi in lunghi anni di teoria e prassi all’interno di istituzioni finanziarie di mezzo mondo. Chi, come noi, ha creduto che la confidenza con le stanze di Palazzo Chigi li avrebbe in qualche modo educati alla mediazione e allo scambio, ai balletti di dichiarazioni e a quelli di poltrone – tutte pratiche sublimi a lungo coltivate da artisti del calibro di Moro e di Forlani, di Craxi e di Andreotti – deve ricredersi. Monti e i suoi sono come i barbari nel Palazzo dell’Imperatore: non vogliono saperne di ornamenti e di etichette; il loro obbiettivo non è esercitare il potere per il potere, replicando quello straordinario caleidoscopio barocco che è stata la Repubblica italiana negli ultimi trentanni. Essi – mi si passi la bestemmia – sono i veri Leninisti italiani del XXI secolo: il potere gli serve per mettere nero su bianco e quindi trasferire nella realtà le loro più intime convinzioni.
Ma se noi abbiamo peccato di prudenza, confidando in una memoria storica che sembrava suggerirci che anche la più fanatica delle avanguardie deve prima o poi assumere un minimo di senso della realtà (si veda Lenin nel 1923), c’è chi dalla nostra stessa parte si è macchiato di una colpa ben più grave: la “coglionaggine”. Il termine (assolutamente improprio) vuol rendere immediatamente comprensibile al lettore comune quella forma di psicosi che gli specialisti definiscono “angoscia”. In gergo tecnico con questa espressione si intende una condizione in cui si arriva a “negare la realtà costruendo una neorealtà delirante attraverso un isolamento autistico, tramite lo sviluppo di una stato di narcisismo secondario.” E cos’altro hanno fatto i nostri amici “di sinistra” dalla caduta di Berlusconi ad oggi se non negare che Monti & co. erano quello che sempre avevano detto di essere? Se non costruire per aria magnifici scenari che raffiguravano “Super Mario” come il fautore di tutti i loro più intensi desideri, come l’artefice di una titanica opera di redistribuzione del reddito e di rilancio dell’occupazione? Chissà cosa avrà pensato il buon Monti di questi inutili idioti: se ne avrà disprezzato la malafede o semplicemente compatito la grave dissociazione che li affligge. Noi propendiamo per una distribuzione equanime dei demeriti: ai dirigenti riconosciamo un’assoluta malafede per aver ingannato milioni di persone circa la natura e gli scopi del governo Monti; mentre ai semplici militanti/simpatizzanti ecc. rimproveriamo l’ingenuità ai limiti della fessaggine – cui siamo però disposti a riconoscere un’attenuante: la devastazione culturale provocata da vent’anni di anti-berlusconismo. Ma se quest’ultima si può recuperare con una bella strigliata a base di realismo politico, non siamo in grado di quantificare i danni che la prima ha provocato e ancora a lungo provocherà (si veda l’atteggiamento di Pisapia).
Condividiamo l’analisi di Bertinotti ed altri, che individuano nell’operazione Monti la nascita di un’area politica nuova e “centrale” (in tutti i sensi) della politica italiana. Quest’area al momento non solo conta su robusti sostegni in entrambi i principali schieramenti, ma è anche quella più determinata sul piano programmatico: il fondamentalismo liberista di Monti è il suo decalogo. Si sono superate le ambiguità presenti in entrambi i partiti nati da grandi fusioni a freddo e finalmente si è trovata una base politica condivisa quasi al 100% da tutti coloro che si inscrivono in quel campo. Si può dire che alla lunga lo strano trio Casini-Fini-Rutelli ha avuto ragione e non a caso oggi gioca a fare il reparto d’assalto delle Monti-truppen.
In questa ridefinizione dello scenario politico il PD è quello che ne esce peggio. Da sempre questo partito ha inseguito il Terzo Polo e proprio quando sembrava averlo raggiunto con il governo di unità nazionale – che nelle intenzioni di Bersani e soci avrebbe dovuto rappresentare il preludio del nuovo centro-sinistra – ecco che i rapporti di forza si ribaltano. Di fatto una parte del partito (Veltroni, Ichino, Fioroni) è componente organica dell’area Monti; Bersani si trova così ad avere in mano qualcosa che assomiglia vagamente agli ex-DS come forza elettorale, mentre sul piano programmatico la subalternità al “nuovo centro” è totale (per quanto si sforzi ad essere innovativo il povero Stefano Fassina sconta ancora pesanti zavorre accumulate nel corso del suo imprinting bocconiano). Il “nuovo” PD sarà in questo modo solo una delle due gambe dell’area realmente egemone della politica italiana, che però si configura come un centro che guarda a destra.
Ma a perdere, alla fine della fiera, sono tutti quelli che nella ricomposizione del centro-sinistra ci avevano scommesso: da Vendola, il vero campione d’ambiguità delle ultime settimane, a Di Pietro – che, finito Berlusconi, non si sa che fine farà.
Intanto dall’estremo opposto della barricata si ode un nuovo ruggito: è quello della Lega Nord, che proprio questa domenica celebra il suo ritrovato “orgoglio padano”, iniziando così a cucire il sacco col quale nei prossimi mesi raccoglierà valanghe di voti fra i lavoratori settentrionali. La Lega è l’unica vera opposizione parlamentare al governo Monti, opposizione di lotta, che non esita a far riecheggiare le parole d’ordine del “socialismo degli imbecilli”: l’odio della piccola gente contro plutocrati, immigrati e diversi di ogni genere.
Se non fosse tutto così vero si direbbe che siamo di fronte alla caricatura degli ultimi mesi della Repubblica di Weimar. (S.R. ’84)