Gioco d’azzardo terza industria d’ Italia. Ma c’è chi dice Casi… No!

di Gaetano De Monte

E’ la terza industria d’Italia: lotterie, scommesse, superenalotto, slot machine, un mercato che solo nel 2010 ha fatturato più di 61 miliardi di euro: un piatto ricco, ricchissimo, di cui più della metà, oltre 32 miliardi di euro, provengono dalle slot machine; un mercato illegale fino al 2004, quando il Ministro delle Finanze, insieme ai Monopoli, decidono di legalizzarlo firmando una convenzione con 10 concessionarie a cui affidare il controllo, la regolarità delle macchinette e la raccolta. Intorno al mondo dei giochi ruotano interessi immensi e non sempre confessabili. Quelli delle società concessionarie, ma anche dei partiti politici che sui giochi hanno scommesso molto. E poi, convitato di pietra, c’è la criminalità organizzata, che vede nel business delle macchinette una nuova miniera d’oro. Ma è anche e soprattutto una vera patologia, quella del gioco d’azzardo: un fenomeno che risucchia miliardi di euro ogni anno, che distrugge persone, rovina famiglie, ingrassa gli usurai e il mercato dello strozzo, inducendo a una dipendenza compulsiva centinaia di migliaia di insospettabili, facendoli diventare malati di gioco. Una vera e proprio dipendenza, “quel meccanismo profondo che guida e condiziona la vita sociale contemporanea” per dirla con Zygmunt Bauman; il più influente sociologo vivente parlò di dipendenza a proposito del grande crack del 2008, costruito su debiti rivenduti per salvarsi dai debiti; e, tornando al gioco d’azzardo, tra la massaia che dilapida la pensione al video-poker e il bomber che scommette sulla propria sconfitta (in tutti i sensi), la differenza è nella quantità del “buco”, non certo nella qualità della patologia.
A ogni puntata alla roulette, Aleksej, il protagonista del romanzo “Il Giocatore” di Dostoiesky, mettendo in gioco la sua libertà, la sua vita, ha l’illusione di poter cambiare in un attimo ciò che non potrebbe mai cambiare nel corso della sua vita. Questa illusione è alla base dell’idea che il Governo Berlusconi ha avuto per affrontare la ricostruzione dell’Aquila. Il Dl 39/2009, il decreto Abruzzo, ha previsto di destinare 500 milioni l’anno fino al 2032 alle aree colpite dal sisma: soldi, questi, ricavati dalla vendita di gratta e vinci e lotterie – e da slot machine, bingo, video poker e superenalotto, ma anche da Video Lottery Terminal (VLT). E’ infatti proprio il decreto Abruzzo ad ampliare le possibilità di intrattenimento con macchine VLT che comprendono tutti i giochi, al fine di assicurare maggiori entrate alle concessionarie che gestiscono il gioco d’azzardo, un settore in cui per le mafie è più che facile non solo infiltrarsi, ma anche vivere e prosperare.
Tuttavia dei soldi promessi gli aquilani non hanno visto neanche la traccia; c’è chi però li ha visti eccome e sono i concessionari, quelli vecchi e quelli nuovi, che inizialmente hanno dovuto pagare una tassazione anticipata, da destinare all’Abruzzo: 15.000 euro per ogni videolottery installata, un volume d’affari che ha portato nelle casse dello Stato 850 milioni in un anno. Ma dopo pochi mesi quelle stesse macchinette – che sono l’evoluzione delle vecchie Slot: una sola macchina propone un’offerta di giochi multipla, in cui ai classici motivi da Slot, si aggiungono anche i giochi da tavolo verde come Poker, Roulette, Black Jack, Bingo – hanno potuto incassare due miliardi di euro. Quella delle videolottery e del decreto Abruzzo che le ha istituite è stata quindi un’occasione ghiotta per i dieci concessionari a cui lo Stato Italiano affida il ruolo di esattori erariali. Questi, dopo averle ottenute senza gara, si sono visti prolungare le vecchie concessioni delle slot – in scadenza a ottobre 2009 – fino al 2018.

E’ bene ricordare che questa industria oggi è al secondo posto come causa di indebitamento e usura e che l’Italia ha il primato mondiale procapite (oltre 500 euro a persona). In Regioni quali Sicilia, Campania, Sardegna e Abruzzo le famiglie investono in gioco d’azzardo il 6,5% del proprio reddito. E la Puglia? Non se la passa mica bene: non passa giorno infatti che non si abbia notizia di persone ridotte sul lastrico dai debiti di gioco, in particolare qui, come altrove, è la febbre del videopoker, ma non solo; Taranto, insieme a Napoli detiene il primato di maggior numero di scommesse sportive giocate in Italia; si dirà eccesso di calciofilia, forse. Resta il fatto che il gioco, nella Penisola, coinvolge maggiormente le fasce più deboli. Secondo i dati Eurispes 2005 investe di piu’ in questa direzione chi ha un reddito inferiore: giocano il 47% degli indigenti, il 56% degli appartenenti al ceto medio-basso, il 66% dei disoccupati. Non c’è bisogno di scomodare le analisi di Milton Friedman, per capire come chi disponga di esigui budget (cioè, analogamente, di mini-vincite) è portato a svalutare le pur magre risorse nelle sue mani. Tanto vale rigiocarle.
Solo notazioni di costume? Tutt’altro. Siamo al cuore della struttura del business, un business che crea dipendenza nei fruitori, una dipendenza che può portare a risvolti e problemi ben più ampi. Indebitamento ed usura, di cui Taranto ne sa qualcosa: l’usura, da noi, è l’altra faccia dell’inquinamento, quella che riguarda l’economia. Fenomeno che è salito spesso agli onori di cronaca anche per i risvolti drammatici che taluni episodi hanno assunto: ricordiamo tra gli altri suicidi come quelli di Grandinetti negli anni ’80, o di Cinefra nei primi anni ’90, entrambi stretti nella morsa degli usurai; qui non c’è solo l’estorsione in senso classico: già nel 1992, la DIA conta 123 finanziarie, nel territorio tarantino. Certamente un numero sproporzionato, dato “l’assetto” economico di allora. Nel 1990, presso l’ippodromo di Taranto, a Paolo VI, si truccano le corse dei cavalli per conto di clan locali legati ad alcune ‘ndrine calabresi. Senza parlare poi delle “voci” legate ad alcune partite perse dal Taranto Calcio anni fa a tutto vantaggio di scommettitori locali. Nel 1994, Taranto fu poi sconvolta dal famoso blitz “Cahors”: 70 imputati alla sbarra, di cui una ventina prescritti, per cui per la prima volta fu formalizzata in Italia l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’usura. Un reato che fino ad allora prevedeva pene da sei mesi a due anni. Numerose furono poi le operazioni di polizia giudiziaria che portarono alla luce una realtà, quella di Taranto, esposta sul fronte dell’usura perché alla base c’è un’economia debole, spesso basata sui sub-appalti, e per questo ricattabile. Poi, quando si alza il vento della crisi tutto diventa più difficile e i “cravattari” trovano terreno fertile per le loro attività.

“Dopo le dieci nelle sale da gioco rimangono soltanto gli autentici e accaniti giocatori, quelli per i quali nelle stazioni termali esiste soltanto la roulette e soltanto per quella ci sono venuti; gente che quasi non si accorge di quel che succede intorno a loro e per tutta la stagione non s’interessano a nient’altro”, parole ancora una volta tratte dal “Giocatore”, un romanzo scritto nel 1800 ma che sembra richiamare la concezione che il Governo Italiano ha della vita dell’uomo, messo in mano alla sorte e alla casualità, un’idea in base alla quale il gioco può salvarci, riempire i luoghi pubblici, colonizzare spazi cittadini promettendo sviluppo. Della serie… se il popolo teme il futuro, dategli l’azzardo. Come spiegare altrimenti la decisione di affidare a Camene, società spagnola, una delle dieci concessionarie che, insieme a Lottomatica, Snai, Atlantis, Sisal ed altre aziende con sede nei paradisi fiscali, gestiscono il business dei giochi in Italia, la costruzione di un casinò nel mezzo del quartiere San Lorenzo a Roma, in piazza dei Sanniti, a due passi dall’Università La Sapienza, nella splendida struttura del Teatro-Cinema Palazzo, un luogo dove Pierpaolo Pasolini era di casa. Il 15 aprile di quest’anno residenti del quartiere, studenti, artigiani, attivisti dei centri sociali, mamme di San Lorenzo e lavoratori dello spettacolo, tra cui Sabina Guzzanti e Elio Germano, hanno occupato la Sala Cinema Palazzo in Piazza dei Sanniti. Per sottrarla alla speculazione, ma forse anche perché preoccupati da quell’immagine di nonna in preda alla frenesia per il desiderio di rivalsa dei danari perduti alla roulette, una famelica avidità che spinge la vecchia a perdersi nella propria insanabile ostinazione – che rappresenta il topic del romanzo di Dostoiesky. A delle istituzioni degne di questo nome non dovrebbe perlomeno sorgere il dubbio se vogliano vedere scene e volti come questi a San Lorenzo, oppure come quelli di un’arzilla vecchietta che dall’alto dei suoi novant’anni ha bazzicato dalle parti del cinema Palazzo e che risponde al nome di Franca Valeri? E per gli studenti, per cui San Lorenzo rappresenta quasi una seconda casa, cos’è meglio incontrare agli angoli di una strada: gli attori protagonisti della serie Romanzo Criminale e lo scrittore-magistrato Giancarlo De Cataldo, che escono dal Cinema Palazzo dove hanno appena trasmesso gli episodi, oppure i personaggi reali, i famosi cravattari romani che hanno ispirato le vicende dello sceneggiato e che aspettano qualche debitore da strozzare? Ed ancora cos’è meglio per i vecchietti di San Lorenzo, che giochino a Briscola e Tressette – un gioco popolare che pur sempre stimola la memoria ed il cervello e favorisce l’aggregazione e non fa male alle tasche – oppure che dilapidino da soli davanti ad una macchinetta una pensione intera in un giorno? Ed è proprio in quest’ottica che il 22 Giugno inizierà al Cinema Palazzo, ribattezzato dal quartiere sala Vittorio Arrigoni, “Io gioco gratis”, torneo popolare di briscola e tressette, solo una tra le tante iniziative che sino ad ora ha coinvolto il quartiere.
Di fronte a un settore “amorale” – e fino al 2004 illegale – come il gioco d’azzardo sostenere che con un’occupazione si viola la legge è semplicemente paradossale. Non sempre ciò che è legale è giusto, come l’incredibile processo di legalizzazione delle scommesse e delle macchinette dimostra. E non sempre ciò che è illegale è ingiusto, come viceversa emerge dai contenuti dell’occupazione della sala Arrigoni. Dovremmo chiarire bene il senso del termine “legalità”, pensando anzitutto al benessere delle persone e della società. Fatto questo senza finti moralismi, se gli abitanti di un quartiere non vogliono che il loro cinema si trasformi in Casinò ma rimanga cinema, è giusto che così sia!