Fiat: nuovo piano industriale, vecchi difetti

di Salvatore Romeo

Vi propongo un gioco, semplice e alla portata di tutti. Un gioco che si può fare a piedi, mentre si fa jogging o si sta fermi ed infreddoliti alla fermata di un bus che puntualmente ritarderà. Provate a contare quante automobili “italiane” riuscite ad individuare nella vostra quotidianità. Dovrebbero essere 3 ogni 10 automobili, più o meno il 30%. Ecco, questa è la quota del mercato nazionale della più grande industria di automobili (ma non solo) italiana: la Fiat s.p.a. . Troppo poco per una casa automobilistica che ha recentemente inglobato anche i marchi Jeep Chrysler. All’estero la situazione peggiora drasticamente: esigue le vendite dell’intero gruppo; le uniche automobili a salvarsi sono la Panda e la 500. Ma andiamo per gradi.

Nuovo piano industriale, vecchi difetti.

Solo pochi giorni fa la Fiat ha diramato il nuovo piano industriale inerente il quadriennio 2012-2016. I siti e le riviste specializzate hanno danno eccessivo risalto, condito da tono euforico e trionfale, alla notizia dell’introduzione nei prossimi anni di 17 tra nuovi modelli e restyling. In realtà i 17 nuovi lanci attesi partiranno dal 2014, e sono da suddividere tra tutti i marchi del gruppo: Fiat, Jeep, Maserati, Lancia, Alfa Romeo. Proprio la casa del “biscione”, secondo quanto riportato nel piano industriale, sarebbe attesa da una seconda giovinezza. Secondo le intenzioni del manager abruzzese, Alfa Romeo dovrebbe abbandonare l’attuale segmento di mercato (prettamente berline compatte o segmento “C”) per divenire un marchio “premium”; ovviamente ciò sarebbe possibile con la condivisione dei pianali con l’americana Chrysler. L’Alfa Romeo andrebbe, dunque, a competere con berline di segmento superiore, BMW e Mercedes per intenderci. In linea di massima sarebbe un progetto dagli aspetti intriganti; in realtà il rilancio del marchio Alfa Romeo viene annunciato e poi puntualmente disatteso già da molti anni: la motivazione rimane tutt’ora oscura. Sono già diversi anni che il gruppo Volkswagen sogna di impossessarsi di uno dei marchi che ha fatto la storia dell’automobile e che ha tutt’ora, agli occhi di appassionati e nuove generazioni, uno strepitoso appeal. Non a caso Martin Winterkorn, numero uno del gruppo Volkswagen, ha più volte definito Alfa Romeo come un marchio “estremamente interessante”. Altro marchio “sedotto e abbandonato” è il glorioso “Lancia”. La casa automobilistica, che con i suoi modelli eleganti e confortevoli ha sedotto numerosi automobilisti nel Mondo, rischia di scomparire per ammissione dello stesso Marchionne, sacrificata sull’altare delle esigue vendite. In realtà, attualmente, il portafoglio dei modelli lancia è scarno come un quadro del Caravaggio: Musa, Delta ed Y-psilon . Con un parco auto così e campagne pubblicitarie poco aggressive, è molto difficile convincere il sempre più attento consumatore europeo. Inoltre la strategia di “aspettare i tempi migliori” (ora pronosticati da Marchionne per l’anno 2014) ha portato ad uno svantaggio competitivo difficilmente colmabile con i rivali; basti pensare che il marchio Fiat ha in gamma due automobili (Punto e Bravo) pensate e progettate ancor prima che Marchionne divenisse amministratore delegato del gruppo (2004 Punto, 2005 Bravo). Se si considera che le sostitute sono già ingegneristicamente concepite (sono già congelate le tecnologie, non ancora lo stile) ma saranno immesse sul mercato nel 2014, si prende atto di come Fiat non impari dagli errori (è il caso Lybra, auto introdotta sul mercato molti anni dopo la sua progettazione; fu un flop incredibile).

Nuove strategie

Le campagne pubblicitarie aggressive hanno caratterizzato la prima parte del “governo Marchionne”. La “Punto evo”, reinterpretazione in salsa europea (dalla linee complesse e stucchevoli) del successo “Grande Punto” era stata presentata presso la porta aerei Cavour alla presenza delle alte cariche della marina; eravamo nel 2009. Grosso clamore ebbe la campagna di marketing, organizzata dall’ex (subito dopo passato in Volkswagen) Luca De Meo, per l’introduzione sul mercato della Fiat 500; l’auto in realtà era meno rivoluzionaria e accattivante dell’eterna progenitrice, ma la massiccia campagna pubblicitaria ha contribuito a renderla un successo inaspettato. Era il 2007. Da quella data ad oggi sono passati cinque anni e tutto sembra cambiato nell’universo Fiat. E’ palpabile l’aura di attendismo che attanaglia manager e proprietà: tutte le risorse, infatti, sono impegnate nella massimizzazione delle economie di scala con la controllata (fino ad ora n.d.a.) Chrysler. Uno sforzo che sta producendo i risultati attesi in America. Non in Italia. La colpa non è da imputare alla sola crisi del mercato, ma alla mancanza di coraggio nelle scelte del lingotto. Di fatto modelli “fuori dagli schemi”, come le Nissan Qashqai e Juke, o le nuove Mercedes classe A e B, fino ad arrivare alle più tradizionali Ford Fiesta e Volkswagen Polo, in periodo di crisi hanno visto aumentare esponenzialmente le loro vendite e con esse il fatturato per le loro case. Se a ciò si aggiunge il “pressing” competitivo che le case coreane e giapponesi stanno attuando da molto tempo, si evince come la strategia dei “tempi migliori” possa risultare controproducente per il gruppo italo-statunitense. Osservando negli ultimi anni il mercato dell’automobile, si nota come, escludendo l’ultra low-cost della Dacia, il consumatore tradizionale punti sempre di più al “poco ma buono”. La campagna di incentivazione dei pagamenti tramite rateizzazione, da parte delle case automobilistiche (che hanno notevoli ritorni economici dagli elevati tassi di interesse applicati), ha permesso al consumatore di orientarsi sempre più verso modelli più accessoriati, rifiniti o di tendenza (modelli costosi e spesso inutili, il cui emblema è la “mini” in tutte le declinazioni); tutto ciò a scapito dei modelli a “basso profilo” (Panda, Punto e Bravo). Se a ciò si unisce la scriteriata decisione di immettere sul mercato modelli dall’assenza totale di appeal (16 e Croma), si giustifica la poco rosea situazione vendite del gruppo (in Italia ed Europa). Ma non in tutte le zone del Globo la situazione rispecchia quella europea. Si pensi al Brasile: la Fiat è leader assoluto del mercato brasiliano da decenni; prima proponendo modelli dal bassissimo costo (spesso derivati da modelli in disuso in Italia); dopo, appurato il cambiamento dei gusti dei consumatori brasiliani, proponendo modelli nuovi, accattivanti e tecnologicamente (per il Brasile) avanzati. Il mercato ha ripagato lo sforzo. L’Italia sarà relegata a breve, come il mercato fanalino di coda del gruppo.

Produzione da “asporto”

Marchionne, negli ultimi mesi, ha lamentato una strutturale sovracapacità produttiva che attanaglia le case automobilistiche europee. Quindi ha pensato bene di mandare a casa migliaia di lavoratori siciliani dello stabilimento di Termini Imerese (e dell’indotto), non garantendo loro un futuro (potevano essere avviati colloqui preventive con case automobilistiche cinesi interessate al sito siciliano) dopo aver intascato 300 milioni di euro dallo Stato (http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/02/quei-350-milionidi-aiuti-pubblicia-marchionne/161556/). Dopo un anno mister M. si è ritrovato a sfogliare i petali di una margherita già spoglia: gli operai di Mirafiori (fabbrica storica del gruppo), Melfi (paventata come la fabbrica più industrializzata d’Europa), Pomigliano (appena ristrutturata) e Cassino hanno incominciato a tremare. Ma stando a ciò che riporta il nuovo piano industriale non sono previste nuove chiusure degli impianti italiani. Come risolvere allora l’angoscioso problema dell’inefficienza produttiva? Semplice produrre per gli altri mercati! “Exportation oriented”. Dunque gli stabilimenti italiani diventerebbero delle succursali produttive delle case automobilistiche americane (Jeep e Chrysler principalmente), per le quali produrrebbero prodotti destinati in primis agli States e alla Cina. Ma c’è un problema: attualmente non sarebbe economicamente vantaggiosa questa possibilità. Troppo elevati, infatti, i costi di trasporto, esportazione e mano d’opera che sarebbero generati da una produzione europea e successiva spedizione “World wide”. Per questo motivo Marchionne si sta battendo per una politica di sgravi fiscali, che possano avvantaggiarlo per l’export. E quale migliore arma di contrattazione se non il ricatto occupazionale? Ma questo lo spieghiamo in un altro articolo.

http://www.quattroruote.it/detroit2011/articolo.cfm?inizio=31&da=1&codice=228920&