Avere 30 anni

di Cosimo Spada

Non è assolutamente facile scrivere un articolo nel pomeriggio di Pasqua.

Dopo un pranzo devastante, come può esserlo solo un pranzo in una casa meridionale. Il pranzo di Pasqua da queste parti è sempre lo stesso: la lasagna prodotta in quantità sufficiente a sfamare due nazioni in crisi alimentare, il gregge di pecore immolate ai moderni templi pagani (il forno), la pastiera napoletana in combinazione con l’uovo di cioccolato per rendere la vita ancora più difficile alle arterie; e tutto questo avviene solo durante il pranzo di Pasqua a casa mia.

Mentre ero impegnato ad aumentare le mie probabilità di problemi cardiaci in età avanzata pensavo anche a questo pezzo, che il furioso Andrea Cazzato pretende per domani infischiandosene delle festività selvagge che noi viviamo in questi giorni. E mentre pensavo al pezzo pensavo a come quel rito del pranzo della festa fosse rimasto uguale per tutti gli anni di cui avevo memoria. E mentre pensavo a tutto questo due cose mi saltavano alla mente: che non tutto era rimasto uguale. C’erano a quel tavolo dei bambini che anni prima non c’erano, mancava della gente che negli anni passati c’era, ed io non ero più un ragazzino. Ho pensato anche che finito il pranzo non avrei avuto più il coraggio di guardarmi allo specchio, ma questa è un’altra storia.

Insomma il pranzo della festa, di una festa in cui io non sono più il bambino che aspettava l’uovo con la sorpresa che poi si sarebbe rivelata deludente, ma sono un ultratrentenne che aspetta soltanto il cioccolato dell’uovo.

State tranquilli che non ho voglia di fare il sermone sulla precarietà e sull’impossibilità di sentirsi incompiuti a questa età, lo so che sapete molto bene di cosa sto parlando.

Mentre addentavo un pezzo di polpettone pensavo a cosa direbbero oggi tipi come Dante e Conrad che scrivevano di “cammin di nostra vita” e di Linee d’ombra? Oggi che un trentenne si può “permettere” ancora di pensare a cosa farà da grande. Proprio la “linea d’ombra” si è spostata un po’ più in là, solo che non se ne vede il confine. Che poi questa situazione avrebbe anche i suoi vantaggi: la possibilità per molti di noi di liberarsi dal grigiore di certe convenzioni dell’età adulta.

Ma provate ad andare in una qualsiasi discoteca di un qualsiasi sabato notte dove patetici/che ultratrentenni si ubriacano e si fanno foto con l’ormai famosa bocca a “culo di piccione” e provate a ripetermi di nuovo questa frase.

Io intanto a tavola facevo riscaldamento con i pistacchi in attesa dei dolci, che puntualmente ho sbranato ma fermandomi ad un solo pezzo di pastiera ed un solo pezzo di torta. E mentre scoprivo le vie della moderazione pensavo a quale disco abbinare a queste inconcludenti riflessioni. In un nano secondo ho subito scelto “Mezze stagioni” degli Ex Otago.

Se non conoscete gli Ex Otago, e penso che non li conosciate, dovete subito correre a procurarvi qualcosa di loro. Va benissimo anche questo album, che è tra i pochi che porterei su un isola deserta con D’Alema per evitare di ascoltare le sue fandonie.

Gli Ex Otago sono una band, ma che dico band, sono degli eroi della scena musicale indipendente italiana. Vengono da Genova, la città da cui proviene parecchia roba interessante. Maurizio, Simone Gabriele ed Alberto “Pernazza” suonano  un pop rock leggero ma mai inconsistente, con testi ironici a volte naif e leggeri, ma di quella leggerezza di  cui scriveva Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, in più il grande Pernazza ( che magari avrete visto al Chiambretti Night nella parte del Coniglio) aggiunge a molte canzoni delle sue rime baciate, dando così un ulteriore tocco di orginalità ai pezzi.

Mezze Stagioni non è un concept album sui trentanni, ma una sorta di fotografia di un età che oggi non è più ciò che è stata per i nostri genitori. Pensavi di ritrovarti in un posto preciso ed invece sei intrappolato in una mezza stagione, un luogo comune che è diventato ormai un panorama consueto.

Patrizia è una sorta di album dei ricordi di amori estivi dell’adolescenza raccontati con delle rime baciate che al primo ascolto sembrano idiote ma che con gli ascolti successivi acquisiscono musicalità, mentre Una Vita con il Riporto è un ironico tentativo di immaginare una vita “adulta” con la rutine di una coppia e con la necessità di affrontare il problema della caduta dei capelli. Il pezzo folk CostaRica è un bellissimo e nostalgico racconto di chi va a vivere o cerca un paradiso dove vivere ma col cuore rimane legato al proprio paradiso perduto, questa Italia e la loro Genova. Figli degli Hamburger è l’ironico ritratto di quella parte di giovani abbastanza fortunati da sapere che: “se ti fai poche domande, avrai tutte le risposte”, la canzone sembra alludere ai ragazzi della Genova bene, ma potrebbero essere i ragazzi di qualsiasi parte benestante d’Italia. C’è poi Gli Ex-Otago e la Jaguar Gialla, col verso definitivo sulla situazione del lavoro in Italia: “…E se non riesci a guadagnare con quello che vuoi fare, ti toccherà farlo con quello che non vuoi fare”. Parole semplici che riescono a dire di più di qualsiasi noioso rapporto Istat. C’è anche l’amarcord di Rithm of The Night, il famoso pezzo dance di Corona degli anni 90 reinterpretato in chiave rock, originariamente per una compilation tributo alla musica dance di quegli anni e poi finita anche in Mezze Stagioni. La nostalgia, il futuro e il presente sono in definitiva i veri ingredienti di questo bellissimo disco.

Purtroppo qualche mese fa Pernazza ha lasciato la band per seguire il suo nuovo progetto Magellano, ma gli Ex-Otago si sono già ritirati sui monti della Val d’Aosta per lavorare ad un nuovo disco.

Ora che questo articolo è finito già rimpiango di non aver preso un secondo pezzo di quella fantastica pastiera napoletana.

 

Questo articolo è dedicato alla memoria di Cosimo Laterza: compagno, studente e gran simpaticone.

 

Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:

Thelonious Monk, Solo Monk, 1965


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