Strane storie. Le mille e una (senza notte): le fondazioni dei politici

di Luca Frosini

Non sono politiche, ma fanno politica. Fanno cultura, ma al di là di convegni e seminari non si avventurano. Non hanno fini di lucro, ma possono contare su ingenti finanziamenti, sia pubblici che privati. Queste, in superficiali parole, sono le fondazioni, nuova moda della classe parlamentare del nostro Paese.

Dal 1998, anno di nascita di Italianieuropei ad opera di Massimo “baffetto a vela” D’Alema, il numero di queste particolarissime realtà, a metà strada tra onlus e partiti, ha conosciuto infatti un continuo e sostenuto aumento, tanto che ormai se ne contano a decine sparse per tutto l’arco costituzionale, senza grandi differenze tra Destra, Sinistra e Centro.(ah perché, esistono ancora?)

La prima richiamata, quella tuttora presieduta dall’ex Presidente del Consiglio, è una delle più attive. Sul suo sito, dove si trova come “mission” quella di promuovere la cultura politica, si fa sfoggio dei continui cicli d’incontri ad alto livello in giro per il vecchio continente, delle firme prestigiose in collaborazione per la redazione degli articoli, delle pubblicazioni a getto continuo e della sua rivista, che tra l’altro nell’ultimo numero ha presentato un’inchiesta sui finanziamenti pubblici. La punta di diamante è forse però l’altissimo patrimonio a regime di conti, valutato in 1 milione e seicentomila euro e con inserzionisti pubblicitari quali Eni, Enel, British Amerian Tobacco, Finmeccanica, Trenitalia e Monte dei Paschi.

Rimanendo in area sinistra scoviamo Democratica, dell’area di Walter Veltroni e appoggiata anche dal vecchio governatore sardo Renato Soru e Vedrò, “casa” di Enrico Letta e che comprende anche il think tank( non vedevo l’ora di scriverlo) 360 e lo storico centro studi Arel.

Dall’altro lato trovano spazio Nuova Italia, nata con una rete di circoli per rilanciare la figura di Gianni Alemanno, Libertà per il Bene Comune, di Altero Matteoli che dal 2010 non ha organizzato neanche dieci convegni a fronte di ingenti entrate monetarie e Free Foundation, creatura di Renato Brunetta e che riempie la rete con molte recensioni dei suoi libri.

Fare Futuro, invece, fa capo a Gianfranco Fini, il quale si è accontentato della carica di presidente onorario ponendo ai vertici operativi Alfonso Urso, ex viceministro del commercio, sotto di cui possiamo trovare come membri del consiglio d’amministrazione personalità provenienti dall’alta finanza, dall’imprenditoria e del settore pubblico ai confini con il privato, come nel caso di Gianfranco Lanna, presidente della Simest, società di capitali “cittadini” interessata ai rapporti con le realtà economiche estere.

L’elenco è ancora lunghissimo: Astrid, radunata attorno all’ex ministro Franco Bassanini, l’Italia Decide di Luciano Violante, De Gasperi con a capo l’ex ministro Franco Frattini, Liberal, nata nel 1995, per iniziativa di Ferdinando Adornato che oggi gravita in zona Udc, Formiche del direttore editoriale Gustavo Piga, di ispirazione centrista ed infine Foedus, diretta dall’ex ministro Mario Baccini.

Tantissime, quindi. Una tendenza che sembrerebbe testimoniare grande impegno sul lato della produzione e dell‘impegno politico, con motivi e radici però molto più pratici.

Le fondazioni, infatti, non sono obbligate a rendere pubblici i nomi e le consistenze dei propri benefattori grazie alle severe regole in materia di privacy a loro favore. Inoltre, nonostante si presentino come associazioni senza fine di lucro, possono bypassare le verifiche della prefettura non presentando atti costitutivi o bilanci, anche se spesso tali controlli sono una formalità burocratica. Infine non sono regolate da un preciso sistema legislativo, permettendosi quindi molti diritti a fronte di pochi obblighi, tanto che è impossibile o quasi provare a controllare le loro spese, protette da una cortina di fumo ben alimentata dagli interessati.

In sintesi queste realtà sono la versione moderna dell’antiche correnti di partito, strutture personalistiche ed estremamente autoreferenziali, limitate ad un’effimera “rielaborazione” dell’idea dei propri leader, mere macchine “pompa risorse” per simpatizzanti e, soprattutto, soggetti in odore di lobby. Banche, aziende, sigle e gruppi d’interesse sono solo alcuni dei soggetti protagonisti,che possono creare anche situazioni imbarazzanti, come ritrovato nel caso di Faremetropoli, creatura di Filippo Penati alle origini dei guai giudiziari dell’ ex sindaco di Sesto San Giovanni.

Questa galassia di nomi e sigle può essere visto come un segno ulteriore di scarsa trasparenza e correttezza verso gli elettori, sintomo di un qualcosa ormai radicato nel mondo politico del nostro Paese e che ormai va al di là di qualsiasi questione morale, per entrare nell’ambito della tragicommedia.

Ps= i dati e i nomi sono ripresi da Finance.it e dal Corriere della Sera.