ILVA: cronaca di un inganno

di Salvatore Romeo (’85)

Quando da piccolo giocavo al “monopoli”, rimanevo sempre alcuni secondi a fissare attentamente la figura del capitalista raffigurato in copertina. I suoi tratti ricalcavano l’immaginario collettivo rispetto alla figura del padrone “ottocentesco”: paffuto, vestito di un elegante smoking, cilindro e bastone neri d’ordinanza. Quella figura così bizzarra e sorridente mi suscitava sempre allegria ed ilarità. Solo con il tempo ho incominciato a capire chi fossero i “capitani d’azienda” e come le loro azioni (ed intenzioni) fossero così poco illuminate e così tanto tetre. In questi ultimi mesi si è palesato alla ribalta mediatica cittadina e nazionale, uno dei capitalisti (ma senza cilindro) che tanto trovavo buffi da piccolo; il suo nome è Emilio Riva. Il vecchio Emilio, fedelmente accompagnato dal figlio Fabio, incarna tutti i precetti della scuola di pensiero più in voga tra i capitalisti-manager: “arraffa arraffa come se non ci fosse un domani”. La strategia “illuminata” del “profitto senza se e senza ma” ha avuto come principali conseguenze quella di far perdurare una condizione di massiva attività di sversamento nell’aria e nell’ambiente della città di Taranto, di ingenti quantità di sostanze altamente inquinanti e nocive per la salute umana, animale e vegetale. Le conseguenze per la ILVA S.p.A. invece sono da ricercarsi nel costante aumento degli utili negli anni pre-crisi che hanno reso possibile un utile netto dal 1995 al 2011 di 1,4 mld di euro [1]. Henry Ford ne sarebbe molto soddisfatto. A destare ulteriore scalpore è la notizia che la guardia di Finanza nei giorni passati, ha posto sotto sequestro 1,2 mld di euro alla famiglia Riva; la motivazione investe l’irregolarità di otto scudi fiscali effettuati dai Riva, nel tentativo di far rientrare in Italia somme di denaro conservate illecitamente in alcuni paradisi fiscali. Da questo quadretto desolante si può dedurre ciò che ogni cittadino di Taranto sapeva già da tempo e cioè che la famiglia Riva non è propriamente composta da benefattori (per usare un eufemismo).

Questa vicenda che ha ormai assunto contorni paragonabili ad un film grottesco e drammatico, si è arricchita di due nuovi colpi di scena: in primis il  25 maggio il gip del tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha fatto sequestrare  beni appartenenti alla “Riva Fire” (società capogruppo della costellazione delle aziende riconducibili ai Riva) per un totale di 8,1 miliardi di euro. I sequestri non hanno interessato però né gli stabili né tantomeno le risorse che sono direttamente od indirettamente imputabili alla produzione dell’acciaieria. Il sequestro è stato giustificato dall’applicazione della legge 231 del 2001 sulla responsabilità diretta delle imprese, legge che dal 2011 (proprio in merito al caso ILVA) è stata estesa anche ai reati ambientali. La motivazione rilasciata dalla Todisco è molto dura; il magistrato infatti asserisce che “…condotte funzionali al perseguimento di un programma criminoso idoneo ad assicurare allo stabilimento Ilva di Taranto il conseguimento dei profitti derivati dalla prosecuzione tout court dell’attività produttiva nella piena consapevolezza della pericolosità ed anzi della concreta devastazione dell’ambiente e della concreta e gravissima lesione inferta continuativamente alla salute di lavoratori e dei cittadini”. La risposta dell’azienda non si è fatta attendere. Ieri infatti (25 maggio) l’intero Cda del gruppo Ilva si è dimesso. La motivazione risiede nella totale indispensabilità di ciascun bene sequestrato per la prosecuzione dell’attività industriale. Risulta difficile immaginare come alcuni beni, ad esempio gli svariati immobili non direttamente imputabili agli stabilimenti produttivi, risultino assolutamente indispensabili al proseguo della produzione industriale. Risulta altresì difficile non interpretare il gesto compiuto dei vertici dell’Ilva Spa, se non come una minaccia, un ricatto occupazionale che provocherebbe un vero “terremoto “ sociale ed economico per la città e la provincia tutta. Dunque anche il tentativo dell’azienda di incominciare una “nuova fase” di legalità e rispetto delle leggi, a cui si può riferire l’affidamento di incarichi importanti a Bruno Ferrante ed Enrico Bondi, considerati veri e propri paladini della trasparenza, sembra crollare sorretta da fondamenta di bugie e falsità. Primo tra tutte il mancato rispetto del programma di interventi (stipulato circa sei mesi fa) che l’azienda si era impegnata ad eseguire .

La situazione attuale, al netto delle dimissioni e del sequestro dei beni, descrive come la magistratura (o meglio la guardia di finanza dunque lo Stato) entrerà in possesso di un ingente quantità di capitale (in realtà per il momento è stato trovato “solamente” il primo miliardo; i restanti sembrano svaniti nel nulla, scomparsi tra le varie scatole della matriosca della holding Riva Fire). Ma cosa ne sarà di queste risorse? Verranno effettuati realmente gli interventi di riqualificazione e messa a norma degli impianti? E chi si farà carico del complesso ruolo di supervisore responsabile dell’effettiva realizzazione delle opere? Per quest’ultima domanda da tempo circola una risposta chiara ed univoca: lo Stato. L’idea, appoggiata anche dal segretario della Fiom Landini, è quella di affidare allo Stato le sorti del gruppo Ilva, come previsto dalla legge 231 del 2012 la cosi detta legge “salvaIlva” che prevede “l’intervento diretto dello Stato”. Ciò che si prospetta è un commissariamento della società (guai a parlare di nazionalizzazione) con lo Stato primo garante dell’inizio e della buona conclusione dei lavori di risanamento. Ulteriore motivazione a favore di questa soluzione sarebbe la possibilità di utilizzare come risorse principali gli 8 miliardi appena sequestrati alla famiglia Riva; in pratica gli interventi sarebbero “ad impatto zero” sulla collettività. Già la collettività. Martoriata, derisa, ingannata. Si ritrova a pagare senza soluzione di continuità il dazio di decenni di politiche industriali spregiudicate e d opportunistiche, con l’unico intento di ricavare più denaro possibile dalla “gallina dalle uova d’oro” che rappresenta lo stabilimento di Taranto. Anni di accumulazioni di capitali, sottratti alla collettività e riconsegnati in maniera indegna ad una famiglia (ed ai suoi lacchè) simbolo del capitalismo industriale italiano. Si sono susseguiti anni di accordi segreti, scandali ricatti e favori (leggi “ad-aziendam”, quote Alitalia, etc) che hanno consacrato la distruzione di una città e di una classe sociale fondamentale per la città e l’intera nazione, quella dei lavoratori metalmeccanici.

I lavoratori, è sempre utile ricordarlo, sono l’anima dell’azienda, il mezzo attraverso il quale la città e la provincia hanno prosperato in questi ultimi decenni. E che adesso si ritrovano ad essere doppiamente beffati, da un’azienda che ha gettato via la maschera nero fuliggine che ha ferocemente indossato negli ultimi mesi e da una città pronta a sacrificare quasi 20000 posti di lavoro in cambio di una chiusura “tout court” degli impianti. Emblematico è il tentativo della regione Puglia di cancellare via dall’immaginario collettivo la vertenza Ilva; lo si può notare dalla campagna pubblicitaria “questa è Taranto”, in scorrono una serie di immagini-stereotipo sulla bellezza del mare e sul buon cibo cittadino, cancellando in un colpo solo il fumo nero dell’acciaieria che nelle notti di tramontana avvolge il sonno dei tarantini, ignari dall’aura nera che li accompagna. Una riflessione doverosa giace silenziosa in seno agli ultimi avvenimenti: è davvero giusto lasciare che il destino dell’acciaieria più grossa d’Europa e dei suoi (nostri) lavoratori sia definito dai pochi politici che hanno già ampiamente dimostrato di non avere a cuore (per usare un eufemismo) le sorti di una città in difficoltà perenne o forse è il caso che si apra una seria discussione che riguardi la cittadinanza tutta, che verta anche sui possibili utilizzi della somma confiscata ai Riva? Ma come spesso accade la città rimane muta ed indifferente.

[1] http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2012-10-10/ilva-utili-miliardi-investiti-064251.shtml?uuid=AbEHpArG

N.d.r. dopo la redazione dell’articolo, è giunta la notizia delle dimissioni dei capi-reparto dello stabilimento tarantino. Qui maggiori informazioni http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-27/ilva-capireparto-capiarea-annunciano-211855.shtml?uuid=AbQMBqzH