Ambientalizzazione o riconversione? Ambientalisti ed operai a confronto

di Roberto Polidori

Un giro di chiamate, qualche messaggio su FB ed ecco seduti allo stesso tavolo gli operai ILVA Cosimo Cicala, Vincenzo Vestita, Francesco Bardinella, Francesco Brigati e gli ambientalisti jonici Saverio De Florio, Alessandro Marescotti, Daniela Spera. Un incontro caratterizzato da domande sulla situazione attuale di Taranto e le propettive future della città, da una discussione fluida fatta di interventi e precisazioni, con la libertà di argomentare le proprie convinzioni da parte di ciascuno dei presenti .

Questa domanda è per gli operai: il 22 Gennaio l’Ordine dei Medici,Chirurghi ed Odontoiatri di Taranto e l’ISDE hanno organizzato la “Prima Giornata di Studio su Inquinamento e Salute”, il 22 Marzo il Rotary Club di Taranto ha organizzato un evento per presentare un nuovo misuratore portatile di I.P.A. In entrambe le occasioni alcune personalità del mondo scientifico (pediatri come la dott.ssa Moschetti, oncologi come il dott. Burgio e chimici come il dott. De Gennaro) ci hanno spiegato quali siano le conseguenze dell’inquinamento a Taranto sulla salute. Come mai nessun operaio era presente?

Francesco Brigati: «non eravamo informati; manca un sistema di informazioni nonostante FB; ho una bambina di due anni e sono molto interessato a questi eventi, anche perché molti colleghi anche trentenni cominciano ad accusare gravi patologie in ILVA ».

Vincenzo Vestita: «Io sul luogo di lavoro sono molto attento alla sicurezza e all’ambiente e, una volta timbrato il cartellino, mi sento cittadino della mia città e della provincia; siamo in pochi ad interessarci attivamente dei problemi degli operai fuori dall’orario di lavoro, ma la consapevolezza delle problematiche connesse alla salute è aumentata ultimamente tra i lavoratori. Ci sono sempre stati problemi di salute in ILVA: adesso però tutti gli operai hanno coscienza di cosa sia la diossina e il benzo(a)pirene e quali siano le fonti emissive. Se n’è cominciato a parlare 5 anni fa grazie alla pressione mediatica delle associazioni ambientaliste».

L’ILVA di Taranto è la realtà industriale con la maggiore concentrazione di operai in Italia (11.700 unità). Volendo valutare la capacità di fare “massa critica”, esiste ancora una “coscienza di classe operaia” tra voi?

Vincenzo Vestita : «Si è lavorato perché non ci fosse. Riva, il primo giorno di privatizzazione, entrando nello stabilimento disse: “gli impiegati sono roba mia”, imponendo una concezione padronale delle relazioni industriali. Gli impiegati sindacalizzati sono pochissimi. Il ricambio generazionale è avvenuto attraverso una successione padre-figlio e, con i contratti di formazione lavoro, è stato perseguito uno scientifico lavoro di modellamento delle coscienze degli operai, completamente succubi delle decisioni padronali»

Domanda agli ambientalisti: voi conoscete sommariamente le grandezze economiche in gioco quando si parla di Gruppo Riva e di ILVA?

Saverio De Florio: «L’ILVA muove molti soldi ma l’economia dell’indotto è ormai esigua e gli stipendi hanno un controvalore annuo di circa 219 milioni di euro, pari alla ventitreesima parte del reddito imponibile della provincia; ma le esternalità negative, i danni ambientali e alla salute non sono annoverati nel reddito; il 40% delle invalidità da lavoro industriale sono realizzate nella sola provincia jonica. L’ILVA serve alla Regione ed alla nazione, poiché il business dell’acciaio costituisce il 4,6% del PIL nazionale e l’ILVA produce il 60% del 4,6% del PIL nazionale, quindi il 3% del PIL nazionale. I soldi veri vanno da un’altra parte, però. Esiste una cotrapposizione tra questa collettività ed altre collettività, quelle che guadagnano fuori Taranto».

Esiste una coscienza di classe tra ambientalisti?

Alessandro Marescotti: «Per quanto mi riguarda esiste. Io sono laureato in filosofia e la parte formativa più importante della mia carriera accademica è consistita in un corso di 150 ore frequentato con gli operai. Se per “coscienza di classe tra ambientalisti” si intende la capacità di farsi carico dei problemi degli altri, allora io ritengo importante per noi ambientalisti porsi domande che aiutino i lavoratori a risolvere i propri problemi di sicurezza e salute; con l’Autorizzazione Integrata Ambientale abbiamo affrontato i problemi delle migliori tecnologie disponibili. Per noi, seguendo un approccio pragmatico, se esistono regole europee da rispettare, devono essere rispettate a Taranto come in un altro impianto siderurgico europeo. L’ILVA fa recod di utili a Taranto [non nel 2010 ndr] e se li fa deve investire per preservare la salute dei suoi lavoratori. Detto questo possiamo affermare che molto probabilmente lo scenario mondiale del mercato dell’acciaio cambierà nei prossimi anni; dobbiamo cominciare fin da ora a pensare ai contraccolpi della globalizzazione per evitare che accada per ILVA ciò che è accaduto in Fiat. E’ probabile che i giganti dell’acciaio asiatico metteranno fuori gioco l’ILVA di Taranto. Questo modello di sviluppo è destinato a non durare; in quest’ottica anche un nuovo modello di cultura industriale è fondamentale: ci vuole formazione continua – nell’ambito dell’economia verde, per esempio – affinché i giovani operai di oggi siano preparati per il futuro [effetti negativi da “spiazzamento tecnologico” ndr]. In questo gli ambientalisti devono rafforzare necessariamente una coscienza di classe»

Daniela Spera: «Io spero che non ci sia una coscienza di classe tra ambientalisti; sono un cittadino e, da chimico, ritengo sia più importante che l’ambientalismo non sia un discorso di elite, quanto un punto di approdo necessario per un individuo che, in piena coscienza, capisca quali possano essere i danni alla salute provocati da determinate attività industriali. Conosco operai ILVA che si sono ammalati di cancro, hanno sostenuto la chemioterapia e sono tornanti a lavorare. Mi chiedo se i lavoratori siano coscienti dei rischi che corrono lavorando in ILVA. Mi chiedo se i lavoratori siano consapevoli delle malattie provocate all’esterno dall’ILVA e dalle altri industrie; io cerco di mettermi nei loro panni perché credo, pur non avendo mai lavorato nell’ILVA, che la peggiore condizione vissuta sia proprio quella dei lavoratori proprio perché sono sicura che sanno che la loro attività produce malattie. Mi domando: il nostro lavoro da ambientalisti contribuisce ad instillare in loro un certo tipo di “senso di colpa” che possiamo definire auto-coscienza? Se parliamo insieme di alternative per cambiare questo tipo di monocultura economica che uccide noi ed i nostri figli ci allontaniamo dagli operai o ci avviciniamo a loro? Possiamo dialogare per costruirci un’alternativa insieme? ».

Saverio De Florio: «Dopo aver commesso diversi errori gli ambientalisti sono entrati nel merito delle problematiche dei lavoratori e, oltre ad occuparsi del danno ambientale, cominciano a cercare risposte circa le alternative economiche, in assenza di risposte politiche in tal senso»

Qualcuno può dirmi quale sia il salario medio dell’operaio ILVA?

Francesco Bardinella «E’ uno stabilimento industriale molto complesso che necessita di numerose mansioni lavorative, retribuite in modo diverso in relazione alla complessità, alla responsabilità del ruolo e alla tipologia di turni. Per un operaio si parte da 1.000 Euro e si arriva 1.600 Euro per gli inquadramenti più alti tenendo conto di straordinari e turni. Da delegato sindacale Fiom sono sicuro che il nostro contratto integrativo è un ottimo accordo [ il migliore della categoria – ndr], da un punto di vista economico e non solo. L’accordo è stato siglato in modo unitario da tutte le categorie ed ha istituito la figura del RLSA (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, Salute ed Ambiente). Praticamente Il RLS (Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza), che esiste in tutte le fabbriche, solo per l’ILVA di Taranto [date le sue dimensioni] è diventato anche responsabile dell’ambiente: questa estensione è stata ottenuta proprio grazie alla pressione degli ambientalisti; il RLSA pone questioni generali e specifiche ambientali solo a Taranto. Da rappresentante sindacale posso affermare che i lavoratori ILVA oggi hanno coscienza che le immissioni della fabbrica sono nocive, mi sembra ingeneroso pensare che i lavoratori in fabbrica si sentano colpevoli dell’inquinamento; anzi direi che sentono il disagio ambientale due volte, sul posto di lavoro e fuori. Da un punto di vista pratico non abbiamo ancora grossi riscontri perché l’accordo è nuovo. Un RSU [Rappresentante Sindacale Unitario - ndr] è un operaio con permessi sindacali ridotti per far fronte a tutto: buste paga sbagliate, malattie dei lavoratori ed anche esposizione ad agenti chimici ed inquinanti. Molto spesso cerchiamo di aggiornarci fuori dal posto di lavoro, apposta per ricompattare la coscienza operaia adeguata al nuovo millennio. Facciamo quello che possiamo».

Saverio De Florio : «Tengo a precisare qualcosa sul concetto di responsabilità e colpevolezza: per colpevolezza Daniela intendeva proprio il peso che gli operai portano circa la “doppia” responsabilità che devono assumersi: produrre qualcosa che può essere pericoloso per la collettività in cui si vive e sopportare in prima persona e da vicinissimo questo rischio. Questo noi lo abbiamo evinto dalle testimonianze pubblicate in recenti libri»

Ma voi sentite questo peso sul groppone derivante dal fatto che, scusate la brutalità, inquinate con il vostro lavoro?

Francesco Brigati : «io tornerei su un punto; è vero che c’è gente giovane che si è ammalata in ILVA e, dopo essersi curata, è tornata in fabbrica; non è stata più adibita al lavoro in agglomerato, cockerie o acciaierie. Ma quando hai una famiglia che deve mangiare ed il lavoro che hai è quello, cosa devi fare? Lo stipendio che prendiamo è sempre poco rispetto ai rischi che corriamo al momento e alle maggiori probabilità di contrarre malattie in futuro. Il nostro contratto integrativo è ottimo rispetto al contesto italiano, ma le dinamiche salariali del paese non permettono un reale adeguamento dello stipendio al costo della vita con un’inflazione calcolata in modo opinabile; qui entrerei troppo nei dettagli tecnici e preferisco evitare, ma comunque è difficile arrivare a fine mese; ciò comporta ulteriori rischi dovuti agli straordinari sostenuti con grosso sforzo fisico per pagare le bollette. Sono entrato in ILVA nel 2001 con il contratto di formazione ed ho fatto in fabbrica cose che ora non farei mai, ma il posto doveva essere confermato. Al termine della formazione certe azioni rischiose non le ho più compiute. Posso quindi capire bene che se sei precario o somministrato sei quasi costretto a fare certi lavori assumendoti un rischio maggiore: sei sotto ricatto ogni giorno. Tornando alla consapevolezza operaia sui problemi ambientali, posso dire che la legge anti-diossina, anche se parzialmente attuata, è stata determinante nel fare emergere il problema ambientale anche tra gli operai: in questo senso abbiamo avuto molti confronti con Alessandro Marescotti. Nel 2001, quando ho cominciato a lavorare, tali problematiche non erano all’attenzione; adesso, per esempio, organizziamo direttivi a livello sindacale (come nel 2010), per capire, per esempio, cosa sarebbe successo nel momento in cui l’ILVA, come realmente accaduto, non avesse rispettato i limiti della diossina di 0,4 ng/m3. Quanto al recupero di coscienza di classe, io, oltre ad essere rappresentante sindacale, sono militante politico in Rifondazione Comunista e pubblichiamo un giornalino in 5.000 copie, la “nuova fabbrica”, che cerca di ricompattare il mondo operaio. Credo di essere membro attivo della società civile e non mi sento meno cittadino di Daniela».

Ci sono associazioni ambientaliste, quella guidata da Fabio Matacchiera, Presidente del Fondo Antidiossina, che hanno avuto il merito di sollevare il problema ambientale della città con video shock anche notturni. Ci sono altre associazioni che si battono per la chiusura dell’ILVA in modo diverso: cominciano, nell’assordante silenzio delle Istituzioni, a cercare alternative economiche alla grande industria nel tentativo di salvare “il lavoro” : parlano di riconversione economica ed alternative all’acciaio e cominciano ad affidarsi ad esperti esterni nel tentativo di simulare l’impatto economico di un cambiamento del genere: Saverio De Florio e Daniela Spera hanno cercato di fare le prime proposte ed Daniela ha organizzato il primo workshop in tal senso. Voi operai ci stareste o no ad un cambiamento del genere?

Vincenzo Vestita : «Se tu facessi una domanda del genere ad un qualsiasi operaio ILVA, puoi dare per scontato che lui preferirebbe cambiare lavoro; il problema grosso è che i mutui casa sono alle stelle, come le assicurazioni delle autovetture, tra le più care in Italia. C’è bisogno di sicurezze: noi siamo stati gli ultimi assunti con contratto a tempo indeterminato e ci sono 750 interinali che stanno facendo i salti mortali per andare a lavorare sulle cokerie, consapevoli di tutte le emissioni inquinanti che respirano. Tutti vorrebbero vivere senza respirare quest’aria, ma chi lascia il certo per l’incerto? Avete posto il problema, ma non basta. Io ho bisogno della granitica certezza di prendere oggi il libretto di lavoro dall’ILVA e di andare domani a lavorare in una realtà pulita a parità di condizioni economiche e di sicurezza d’impiego a lungo termine. Undicimilasettecento persone hanno fatto i loro progetti di vita sulla sicurezza di un lavoro che è già rischioso e difficile; dire: “da domani l’ILVA chiude e poi vediamo” a me non sta bene per niente perché pretendo rispetto per chi rischia per uno stipendio sapendo di rischiare».

Daniela Spera: «Non abbiamo mai affermato di voler chiudere l’ILVa senza offrire alternative»

Marescotti: «Noi sappiamo che l’acciaio italiano ha problemi di prospettive future: la Posco Steel [colosso sud coreano che va costruendo cattedrali siderurgiche in India –ndr] sta costruendo un impianto da 15 milioni di tonnellate d’acciaio all’anno che farà concorrenza anche all’ILVA; ma immaginiamo che non ci siano problemi di prospettive; anche così, secondo la legge economica della diversificazione degli investimenti, dobbiamo cominciare a pensare ad una diversificazione . Taranto è una delle poche realtà di grandi dimensioni in cui si è investito tutto in un unico settore molto esposto alle fluttuazioni del mercato internazionale. In Emilia Romagna, ad esempio, il tessuto sociale ed economico regge meglio alle crisi perché è diversificato».

Vincenzo Vestita : «Tu poni un problema politico che è il problema di Taranto: l’Emilia Romagna ha cominciato a diversificare dal dopoguerra; ha saputo farlo perché c’era una classe politica molto diversa da quella tarantina, che avrebbe consentito di costruire l’ILVA anche in Piazza della Vittoria purché si facesse»

Daniela Spera: «L’indotto locale del siderurgico era stato calcolato prevedendo che si sarebbero sviluppate molte aziende utilizzatrici di acciaio sul territorio: aziende elettrodomestiche, aziende di produzione di macchine utensili etc: non è mai stato fatto. Accanto a questo era previsto anche l’ampliamento e lo sviluppo di agricoltura, della ceramica da esportare nel mondo, del turismo»

Vincenzo Vestita: «La politica locale non ha permesso il passaggio dalla fase di programmazione a quella di attuazione: è sempre più facile andare a prendere voti pescando in un grosso bacino unico in cambio di garanzia di lavoro, piuttosto che confrontandosi con una classe imprenditoriale matura e diversificata»

Alessandro Marescotti: «io pongo un esempio semplice per ciò che concerne la cultura: dobbiamo investire ora in attività di diversa formazione. Nel mio istituto c’è un insegnate molto bravo che cerca di riconvertire l’indirizzo di elettronica nel settore dei pannelli solari. Se lo avessimo fatto venti anni fa e se dieci anni fa avessimo sfornato studenti specializzati, ora forse ci troveremmo in una situazione diversa. Abbiamo prodotto profili professionali di vecchio tipo. Quando nell’AIA noi chiediamo l’adozione di nuove tecnologie disponibili offriamo uno spiraglio per l’incremento di nuovi saperi più specialistici; se poi nell’AIA, come noi chiediamo, è ricompreso l’obbligo di bonifica, sapete quanto lavoro ci sarebbe per bonificare l’area su cui insiste l’ILVA e e per quanto tempo? »

Daniela Spera: «Vero: la costruzione di una pala eolica e di un impianto implica l’utilizzo di lavoratori specializzati e formati, attualmente meglio remunerati di un operaio ILVA ».

Vincenzo Vestita : «Mi piacerebbe sapere perché a Taranto non si è mai fatta sperimentazione: non abbiamo un polo universitario autonomo con il siderurgico più grande d’Europa. Si poteva organizzare una facoltà d’ingegneria di prim’ordine specializzata nella formazione di ingegneri e tecnici capaci di progettare le produzioni di acciai speciali, meno inquinanti»

Francesco Brigati: « Esistono due visioni contrapposte anche sulla riconversione: la prima prospetta quello che si potrebbe fare ad ILVA chiusa, la seconda si occupa di contrastare la situazione attuale; momentaneamente credo che sia necessario fare una battaglia per ottenere l’AIA, come sta facendo Altamarea, cercando di minimizzare i danni sulla salute. Da operaio e da esterno io percepisco che più di qualche associazione pretende la chiusura immediata dell’ILVA; posizione legittima che io però non condivido »

Spera e De Florio: «non abbiamo mai chiesto una chiusura immediata senza alternative, ma temiamo che, comunque, con un’AIA che porti il benzo(a)pirene a 150ng/m3 gli operai ILVA non sarebbero tutelati in ogni caso»

Francesco Bardinella: «Io onestamente ritengo tutti questi discorsi un po’ fumosi: anche quando si superano determinati limiti di emissione di inquinanti – si tratti di soglia di allarme o obiettivo di qualità – dovete capire che l’ILVA non è un’autovettura; non spegni ed accendi il motore quando vuoi e non cambi i pezzi e li trasporti più o meno lontano da Taranto. Possono volerci giorni interi per spegnere un altoforno e metterlo in sicurezza».

Io ho intervistato numerosi medici e chimici di livello nazionale ed internazionale – cioè gli scienziati, quelli che utilizzano il metodo scientifico per dare risposte – che ad esplicita domanda, mi hanno risposto che non è possibile ambientalizzare l’ILVA. Correggetemi se sbaglio: Alessandro Marescotti, Peacelink ed Altamarea – ma non tutti in Altamarea – chiedono che l’ILVA rispetti le migliori leggi cercando di salvaguardare salute e lavoro in ILVA. Secondo voi è possibile?

Spera: «In data 22/03/2011 il chimico Dott. De Gennaro ha dato una risposta molto chiara: anche il rispetto dei limiti di legge 1ng/m3 per il benzo(a)pirene non garantisce la tutela della salute umana; questo solo per il benzo(a)pirene: poi ci sono tutti gli altri inquinanti. Medici e chimici dicono questo».

Alessandro Marescotti: «Ambientalizzazione è un termine troppo generico; una persona dovrebbe porsi diverse domande: la cokeria è compatibile con il rione Tamburi? La cokeria è compatibile con la salute degli operai o bisogna farne una nuova? Esistono diversi obiettivi. La soluzione migliore è che, se deve esserci ancoro la cokeria, bisogna renderla il più possibile compatibile con la salute degli operai utilizzando le migliori tecnologie in assoluto e quindi ricostruirla ex novo e distanziarla dai centri abitati. Oppure si potrebbe chiuderla e comprare il carbon coke come fatto a Genova. Secondo me però noi arriveremo con l’acqua alla gola tra 5-10 anni, quando Cina ed India porteranno il nostro acciaio fuori mercato; un obiettivo di Riva potrebbe essere portare gli impianti allo sfinimento e chiuderli lasciando voi operai senza lavoro quando avrete un’età più avanzata e sarete più difficilmente ricollocabili. Noi tarantini siamo attualmente nelle mani di altri: cerchiamo di riprendere nelle nostre mani il nostro futuro senza subire le decisioni altrui, qualsiasi esse siano; dobbiamo rompere il tabù di pensare una Taranto senza ILVA nell’interesse dei loro operai. Il nostro modello di percezione della nostra realtà presuppone l’esistenza dell’ILVA. Noi, per esempio, sappiamo quanti posti di lavoro assicura l’ILVA ma non sappiamo quanti ne toglie. Quanti agriturismi, ad esempio, avrebbero potuto nascere e prosperare sul suolo dove è L’ILVA? In Toscana ce ne sono tantissimi: nell’agriturismo tu importi turisti e vendi le tue merci senza esportarle, e le vendi ad un prezzo non bassissimo. Si potrebbe attivare tutti i settori economici, marketing incluso. Potremo mai farlo ora, con una così vasta area inquinata? »

Una precisazione: il primo tentativo di proposta economica alternativa è stato effettuato a Taranto da Taranto libera, che ha organizzato un workshop sull’impatto economico delle energie rinnovabili al Pacinotti in data 19/02/2011. In quell’occasione sono state avanzate soluzioni numeriche, con tutti i limiti del caso. Si è però trattato del primo tentativo a Taranto.

Francesco Brigati: «A parte il fatto che c’è una mancanza di infrastrutture devastante per il nostro territorio, posso garantirvi che a Bagnoli sono state avanzate tantissime proposte dopo la chiusura del siderurgico ma non si è arrivati a niente e sono stati spesi tanti soldi. Cerchiamo di costruire un percorso alternativo con sindacati, ambientalisti e politici, ma il contesto culturale e il substrato politico del sud non mi incoraggiano molto. Io sono sempre disponibile a confrontarmi e preferirei, ad esempio, lavorare in una fabbrica che produce cioccolata»

Francesco Bardinella: «Riva ha fatto investimenti grossi sull’altoforno 4, per esempio, e questi investimenti andrebbero in controtendenza con una probabile chiusura a breve; Riva, poi, guadagna anche dai sottoprodotti della produzione dell’acciaio, come loppa e catrame. Questi,anzi sono rifiuti nel vero e proprio senso della parola, ma hanno un valore economico».

Daniela Spera: «Ha ragione Francesco Brigati quando dice che se noi qui tentiamo di impostare un processo di riconversione affidandolo alla nostra classe politica, come fu fatto là, butteremo dalla finestra soldi statali e basta. Il processo di riconversione deve venire dal basso bypassando la politica istituzionalizzata locale, perché questa classe politica non è in grado di fare ciò che noi proponiamo. Poi gradiremmo che sia la cittadinanza a proporre progetti senza lasciarne la gestione ad improbabili società costituite tra Comune, Regione e Provincia».

Saverio De Florio: « Riva potrebbe tirare a campare, senza contingenze internazionali, 20-25 anni (anche se c’è chi dice meno); in città matura l’insofferenza contro Riva e il 2 aprile Fabio Matacchiera ha organizzato una marcia per la chiusura dell’ILVA, non per l’ambientalizzazione; se noi ci trinceriamo dietro la paura, alla fine la chiusura arriverà veramente con grave nocumento per la società e gli operai: proviamo a portare su di livello il piano di discussione e di lavoro e pressiamo i gruppi di interesse che dovrebbero fare qualcosa: i sindacati ad esempio, non voi, ma quelli degli altri settori produttivi, che si nascondono dietro voi e l’ILVA. Le altre provincie pugliesi difendono a spada tratta la propria diversificazione grazie all’opera dei loro sindacati. Il porto di Taranto è uno scempio, per esempio. Dietro voi operai e dietro l’ILVA la classe politica nasconde la propria inettitudine; io dico: lavoriamo insieme altrimenti qui corriamo il rischio che una campagna elettorale prossima ventura sarà quella in cui chi si candida sindaco inserirà nel programma elettorale la chiusura dell’ILVA senza avere sottomano alternative occupazionali valide.
Io penserei seriamente ad alternative produttive perché potrebbe bastare un rallentamento di qualche punto di PIL dell’economia cinese per veder riversato sui nostri mercati una grande quantità di acciaio a basso prezzo».

Alessandro Marescotti: «non c’è alcuna marcia o referendum che può chiudere l’ILVA. La mobilitazione non fa altro che produrre orientamenti politici tali da indurre ad esempio, il primo cittadino a muoversi nel senso della chiusura sulla base di elementi oggettivi. La miglior difesa del posto di lavoro è fare ambientalismo nell’ILVA , soprattutto se si è operai. Fermo restando che non scomparirà l’acciaio, perché non diventare noi esportatori di un modello di esportazione di buone pratiche di produzione dell’acciaio? In Austria per esempio tutta l’industria siderurgica produce un grammo di diossina all’anno, grazie a filtri di nuova concezione utilizzati anche per tagliare piombo e mercurio. Noi produciamo circa 100 gr di diossina annui ma con il limite di 0,4 ng/m3 dovremmo produrre 10 gr di diossina: perché non possiamo farlo anche noi? Perché non collaboriamo con l’università? »

Daniela Spera: «Alessandro, le acciaierie in Giappone non emettono alcun tipo di fumo, praticamente non inquinano: noi non dobbiamo mendicare una riduzione delle emissioni; dobbiamo pretendere un abbattimento totale ed una riconversione graduale delle attività economiche. A Taranto l’ambientalizzazione non si può ottenere perché le tecnologie giapponesi non si attagliano ad impianti vetusti come quelli che Riva possiede»

Mi verrebbe da commentare che ci saranno precise responsabilità politiche se l’ILVA continua ad inquinare grazie anche a leggi di comodo. Ho forti dubbi, che, in questo clima culturale e politico, si possa paragonare il contesto istituzionale tarantino a quello austriaco. Si può però lottare per arrivare a quel livello di sensibilità politica.
Ultima domanda agli operai: parteciperete, anche a titolo individuale alla manifestazione del 2 Aprile?

Operai in coro: «no! »

3 Comments

  1. ENRICO ORLANDINI April 6, 2011 11:39 am 

    Mi sembra che a questo punto molto debba essere affidato alla buona politica, soprattutto alla ricerca di concordia interna, di amore per la documentazione pragmatica sulla situazione reale della città. Non penso che le industrie asiatiche metteranno l’ ILVA completamente in crisi. A lungo andare la globalizzazione dovrà dimostrarsi benefica perché indurrà le nazioni al ridimensionamento reciproco, con sacrifici temporali, ma alla fine (salvo vere tragedie) con saggezza. Tutti hanno bisogno di tutti. In questo clima, che dev’essere politicamente cercato, anche la salute della città ne trarrà vantaggio. Se non sarà così, allora varranno le parole del poeta greco Simonide, che dice: “degli stolti infinita è la stirpe”
    (cfr. Platone, Protagora). Intendo dire, la superficialità potrà far molto danno al mondo. Ma è bene avere fiducia nel prossimo.

  2. sabrina sabatelli April 6, 2011 1:03 pm 

    non uno ma mille Patrizio Mazza ci vorrebbero nel mondo della politica jonica…come sindaco, come presidente della provincia come assessori e come consiglieri. Bisogna scardinare un sistema di interessi sviluppatosi negli anni ad OGNI livello. Hanno ragione gli operai del polo industriale ed i cittadini di Taranto e prov a pensare che abbiamo una classe politica inetta ed incapace. NON VOGLIAMO PIù VOTARE INCAPACI E POLITICI DI PROFESSIONE…..I POLITICI DOVREBBERO ESSERE PRECARI NEL LORO RUOLO GUADAGNANDOSI FIDUCIA E CONSENSO elettorale SOLO GRAZIE AL RISULTATO DEL LORO OPERATO CHE DEVE ESSERE basato su una seria e coerente programmazione di futuro DI DIVERSIFICAZIONE ECONOMICA E DI SVILUPPO IMPRENDITORIALE CHE NON PREVEDA LA PRESENZA DI INDUSTRIE INQUINANTI SUL TERRITORIO

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