Il motore del 2000 sarà… inquinante come oggi

di Salvatore Romeo (’85)

Le persone, oggigiorno, si discriminano in due semplici categorie: chi crede nelle favole e chi no. Alla seconda categoria appartengono i cosiddetti “pessimisti”: gente brutta, avvolta, nella maggior parte dei casi, in abiti vecchi e fuori moda (di cui modestamente faccio fiero sfoggio), cui unico ornamento è la barba, lasciata incolta come protesta alla bellezza di una vita che non sentono propria. Non temete, non sarete costretti ad leggere (per chi lo sta facendo) un pezzo di “Noir” all’italiana: non ci saranno personaggi negativi, ne trasandati e sgradevoli. Tutt’altro. Ciò che vado a raccontarvi è una favola. Il titolo è presto detto: “L’auto che non inquinava mai”: una storia talmente fantasiosa ed irreale, da rendere invidiosi i fratelli Grimm! Già perché di auto “ad impatto zero” attualmente non ne vengono prodotte. “Ma come?”, sentenziereste voi, “esistono SUV che non inquinano!”. Ciò è vero solo in parte.

Le famigerate auto elettriche, secondo i più, dovrebbero ben presto sopperire alla (presunta) prossima fine delle scorte petrolifere, quantificata in un “range” temporale di 20- 30 anni. Questi miracoli a quattro ruote sarebbero talmente virtuosi e pronti alla produzione che il principale costruttore francese ha deciso di concentrare i maggiori investimenti proprio sulla ricerca e sviluppo di automobili a propulsione alternativa. Ma c’è un “ma”. Se infatti è vero che queste macchine non emettono CO2 durante l’utilizzo, è anche vero che l’elettricità necessaria per ricaricarne le batterie deve essere prodotta da centrali elettriche. Ed il biossido di carbonio (il cosiddetto “gas verde”, secondo gli scienziati colpevole del surriscaldamento globale) prodotto da questi stabilimenti sarebbe pari a quello creato dalla combustione interna. E non è da escludere che a fronte di lunghi tempi di ricarica, stimabili in circa 8 ore (da presa tradizionale “di casa”), esse garantiscano solo brevi autonomie reali, fortemente influenzate dallo stile di guida personale.
Inoltre, come si evince da un rapporto del gruppo di difesa ambientale “Natural Resources Defense Council”, circa il 49% dell’energia elettrica in America è prodotta attraverso la combustione del carbone; come ben noto questa pratica, oltre ad essere un “collo di bottiglia” produttivo, dato lo scarso rendimento della trasformazione termoelettrica, non risolve uno dei principali “j’accuse” rivolti alle auto “tradizionali”: l’emissione nell’atmosfera di particolati e sostanze inquinanti. Inoltre, le auto elettriche utilizzano come “carburante” l’elettricità incamerata in accumulatori “on-board” (ovvero le cosiddette “batterie”); la presenza di queste appendici incrementa, oltre che il peso dell’automobile direttamente imputabile alla diminuzione della durata delle stesse, il rischio di combustioni improvvise degli autoveicoli. E’ di pochi giorni fa la notizia che alcuni esemplari del nuovo modello di auto ibrida di un noto costruttore Americano, si sono incendiati (senza essere utilizzati!) per problemi alle batterie o al sistema di ricarica delle stesse. Questi avvenimenti, uniti al costo non propriamente accessibile degli automezzi alimentati ad energia elettrica, penalizzano la commercializzazione delle auto ibride, “mid”, “full” o “plug-in” che siano.
Un’altra tematica di carattere ambientale è salita alla ribalta con l’introduzione degli accumulatori di nuova generazione, le cosiddette “batterie al litio”. Gli interessi di grandi società come Toyota, GM, Renault e Chrysler, focalizzate sull’utilizzo della trazione elettrica per le nuove generazioni di autoveicoli, si stanno concretizzando con lo sviluppo, l’ingegnerizzazione e l’applicazione di questi componenti. Date queste premesse, non è difficile immaginare che sia iniziata una corsa all’“oro verde” presente in natura, nella maggior parte dei casi legato ad altri elementi. Ciò, pur garantendo il plausibile sviluppo (e sfruttamento ) di paesi poveri (la Bolivia, primo produttore mondiale di litio con una quota di mercato del 50%, è per il momento tutelata dalle politiche anti-capitalistiche del suo presidente Evo Morales ), sta procurando danni non quantificabili al magnifico e visitatissimo ecosistema del Salar e al suo sistema idrico; come già accaduto al “Salar de Atacama” in Cile, dove il litio è estratto utilizzando un’enorme quantità di acqua proveniente dalle falde acquifere e dove vengono riversate ingenti quantità di catalizzatori ed agenti chimici. La comunità Boliviana tutta si sta interrogando sull’effettiva validità di un progetto che porterebbe gravi scompensi ambientali in cambio del “benessere” (o della sua accezione boliviana).
Negli ultimi anni è in continuo aumento il numero dei sostenitori della auto ibride “range-extended”, ovvero di quei veicoli in grado di ricaricare gli accumulatori, attraverso un’unità termica (i classici motori ciclo Diesel e ciclo Otto) che a loro volta alimentano un motore elettrico. Questa soluzione di per se innovativa ma dai risultati ancora del tutto incerti, non sancirebbe la tanto agognata liberazione dal petrolio. Semmai garantirebbe un minor consumo, rispetto i motori termici convenzionali, a patto di prestazioni “limite”. Infatti, al massimo della richiesta, i motori ibridi “range-extended” limitano (o disattivano in alcuni casi) l’intervento del motore elettrico, lasciando l’esito dei nostri sorpassi alle funzionalità del motore termico.

Da ciò si evince che le automobili elettriche non svolgerebbero in pieno (o di fatto) il ruolo che per loro è stato pensato dalla comunità: l’obiettivo degli Stati europei infatti, come sancito dall’accordo di Copenaghen, è ridurre la presenza di Co2 nell’ambiente, obiettivo che si tenta di perseguire anche attraverso il sovvenzionamento e l’introduzione dei “veicoli verdi”. Ma il problema reale (la presenza nell’aria di agenti inquinanti cancerogeni) risulta solamente “spostato” dalle marmitte delle automobili alle bocche delle ciminiere delle industrie termoelettriche.
Se volessimo realmente tentare di ridurre nel “quotidiano” l’inquinamento, ricordiamoci che “premere affondo l’acceleratore” fa aumentare esponenzialmente i consumi e dunque la quantità di CO2 emessa nell’ambiente. Dunque la prossima volta che saliamo sulla nostra automobile, grossa od imponete, piccola o “leggera” che sia, non lasciamo che sia la macchina a “supplicarci di cambiare marcia” ma adottiamo uno stile di guida più rilassato. Ne gioverebbe senz’altro anche il nostro portafogli.

3 Comments

  1. Uggiò December 14, 2011 12:05 am 

    E’ anche vero però che se i produttori, i governi e le altre mille classi d’investitori che esistono su questa terra, investissero tempo, denaro e fantasia non a progettare la macchina ed il motore che inquina di meno ma piuttosto il modo più intelligente di produrre energia, ora avremmo il nostro bel fabbisogno energetico appagato. Ad oggi, nelle nostre facoltà di ingegneria e quant’altro, muoiono a decine i progetti riguardanti il risparmio energetico e la produzione alternativa di quella stessa energia che magari noi stessi consumiamo.
    Il punto non è chiedersi come risparmiare soldi ed emissioni quanto piuttosto fare in modo di non produrne di emissioni e di non spenderlo proprio a monte quel denaro.
    E si rientra sempre nel discorso dell’istruzione, della formazione e della ricerca. Siamo un popolo cretino, per lo più, tocca farsene una ragione.

    E complimenti al caro Sasà.

  2. Anonymous December 27, 2011 4:00 pm 

    Lo sviluppo demografico nelle aree urbane avviene sempre di più in senso orizzontale. Da questo problema nasce l’esigenza di mobilità e dato che l’individualismo è un male che regna sovrano, l’uso di un proprio mezzo rimane ad oggi nonostante l’aumento delle accise sulle benzine, la strada più intrapresa. Allora perchè non investire già da subito sulla conversione di alimentazione GPL & Metano di ogni nostro mezzo, sopratutto di quelli appartenenti alla pubblica amministrazione. L’utilizzo di auto elettriche o di auto ibride è una scelta non molto redditizia sopratutto se le soluzioni tecnologiche presenti al momento non riescono ad abbattere il pesante costo di acquisto iniziale che ci si trova a dover affrontare. Certo anche loro rappresentano una valida soluzione in un sistema di Green Grid abbinato ad un contesto P2P in cui l’energia prodotta di notte ad un basso prezzo dalle pale eoliche può essere utilizzata per la ricarica delle batterie di queste auto e a sua volta rivenduta di giorno alla rete elettrica al fine di maturare dalla differenza di prezzo dell’energia elettrica un discreto guadagno per abbattere gli esosi costi di leasing che molto spesso ci si trova a pagare. L’obiettivo finale sappiamo tutti essere quello di utilizzare auto ad (H2)idrogeno, il problema sta nel creare un network di energie per far in modo che questo possa essere unicamente prodotto per via elettrolitica, senza quindi l’utilizzo di combustibili fossili. Nell’attesa che tutto questo sia possibile, ben vengano tutte le idee per far aumentare l’efficienza energetica dei nostri mezzi di trasporto, ma quello che si deve fare già da ora consiste nel riscrivere le regole sulla mobilità, riducendo al minimo gli sprechi, ma sopratutto riducendo al minimo l’utilizzo della macchina, privilegiando mezzi di trasporto pubblico e bici e perchè no, anche un utilizzo di Internet più oculato al fine di ridurre lo strumento dell’auto alle giuste necessità.

    • Anonymous January 4, 2012 11:22 am 

      L’intervento è corretto e preciso su molti passaggi.Allo stato attuale delle cose, il vero problema sussiste nella bassissima incidenza che l’energia prodotta con tecnologie “green” ha sul fabbisogno energetico nazionale (rimanendo nel caso italiano). Inoltre, l’ammodernamento ed il rafforzamento del trasoprto pubblico, pur rappresentando forse l’unica soluzione a breve termine alla diminuzione del fabbisogno petrolifero del contesto cittadino, implica un ripensamento generale delle politiche urbane e di trasporto. Inoltre, sarebbe necessario un ingente investimento di denaro per la sostituzione del parco mezzi cittadino che in un contesto di scarsa liquida economica (come quello odierno) risulta impossibile. Una soluzione, forse non ancora ipotizzata da nessun ente od entità, è alla portata di tutti: l’utilizzo delle proprie gambe per i brevi spostamenti cittadini. Potrebbe essere provocatoria e rivoluzionaria ma sono convinto possa servire!
      S.R.

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