Ad Auschwitz c’era la neve… Diario di un viaggio

di Serena Mancini

Nel giorno della memoria sono diverse le iniziative organizzate per “non dimenticare” le atrocità del regime nazista. Ho sempre ritenuto che questa data fosse fondamentale perché capace di concentrare l’attenzione su una porzione di storia che altrimenti rischierebbe di essere trascurata. Parlare di ricordo però è probabilmente inopportuno perché nessuno di noi ha conosciuto l’esperienza dei campi.
Certo, informarsi su quanto accaduto è utile per conoscere la storia, ma di fronte ai racconti dei superstiti la piena consapevolezza dei fatti resta legata al tempo della narrazione. Per questa ragione era da tempo che desideravo partecipare al treno della memoria, un viaggio organizzato dall’associazione “Terra del fuoco” per vedere i luoghi più significativi dello sterminio. Si tratta di un’esperienza molto interessante e impegnativa, che vede protagonisti gli studenti delle scuole superiori (e a volte anche quelli universitari) di alcune regioni italiane. A guidare i viaggiatori durante l’intero percorso è un’equipe di giovani volontari che, attraverso una serie di tappe educative, ripercorre tutti i momenti più tristi della vita dei prigionieri.
Questo “viaggio di formazione” ha avuto inizio con una prima grande assemblea, al termine della quale gli organizzatori ci hanno divisi in gruppi e, zaini in spalla, ci hanno condotti ai treni.
Ciascuno di noi non ha condiviso solo una cuccetta con persone del tutto sconosciute, ma anche tanti pensieri e tante sensazioni diverse. Trascorse le prime ore in treno il viaggio inizia ad essere estenuante e nella mente si insinuano una serie di immagini in bianco e nero viste sui libri scolastici o in qualche trasmissione televisiva. Rivedo i carri bestiame, i corpi nudi e sanguinanti, i soldati … mi emoziono ma resto in silenzio. Il rumore dei treni che velocemente passano accanto al nostro binario è assordante e durante la notte risulta estremamente difficile addormentarsi e, nonostante fuori sia buio, lanciare uno sguardo addolcisce il tragitto. Siamo diretti a Cracovia e la consapevolezza di raggiungere l’indomani la stazione mi rassicura molto; contemporaneamente però inizio ad immaginare come potesse essere facile perdere la cognizione del tempo ignorando la meta.
Mi fermo a parlare con alcuni liceali per sapere cosa pensassero di questa esperienza e soprattutto cerco di capire cosa sapessero della Shoah. Rimango abbastanza colpita dalla loro conoscenza a riguardo, ma tutto il mio entusiasmo si spegne non appena uno di loro, pronunciata la parola sterminio, con un leggero sorriso sulle labbra mi dice: “in alcuni casi però sarebbe necessario, vedi l’invasione dei cinesi e dei rom in Italia!”. Questa affermazione è rimasta impressa nella mia memoria ed è sopraggiunta alla mente pochi giorni dopo, quando durante la visita al campo di Auschwitz lo stesso soggetto ha versato lacrime di dolore di fronte alla vista di tutine e scarpette esposte in una vetrata del museo. Il campo si presenta proprio come in foto: tanti casolari dai mattoni rossi (detti blocchi) e alcuni comignoli. Il sole ne illumina i viali e la neve inizia a sciogliersi. Lungo la recinzione di filo spinato si intravedono alcune torrette di controllo da cui-ci viene spiegato- i soldati tedeschi controllavano che nessuno fuggisse. All’ingresso il luogo mi ricorda molto una zona residenziale con villette a schiera ma, percorrendo le strade del campo, inizio a immaginare quante persone prima di me abbiano calpestato quella terra e patito il freddo dell’inverno sulla pelle. Il vero viaggio inizia adesso … all’interno dei blocchi, sui muri, compaiono migliaia di foto di donne sopravvissute al lavoro dei campi e dimagrite di 30-40 chili e intere vetrine con abiti e scarpette delle vittime. La sala viene illuminata dai raggi del sole, ma il suo colore roseo non basta ad eliminare il senso di vuoto che ciascuno di noi prova alla vista di questi cimeli. Vorrei gridare, piangere o almeno parlare con qualcuno ma senza riuscire a spiegarmelo resto ancora una volta in silenzio, proprio come accaduto in treno. Alcuni fiori freschi incorniciano l’ingresso del blocco 10; unico elemento di vita in un deserto. Qualcuno pensa ancora alle vittime e continua a prendersi cura di loro. Nei blocchi 6 e 7 sono esposte le istantanee scattate ai deportati al loro arrivo. Ciascuno di noi è invitato a memorizzare il volto di uno di loro, ad immedesimarsi in lui e a ricordarne il nome che verrà poi pronunciato durante l’ultima sera davanti al monumento commemorativo. Alla vista delle prigioni, del ridicolo “tribunale” e degli stanzoni ho l’impressione di vedere alcuni corpi nudi ammassati e di avvertirne i sospiri; ho la gola asciutta e gli arti congelati. L’orrore è mostro due volte: l’orrore non ha voce ma potrebbe non avere nemmeno memoria. A volte alzo lo sguardo e incrociando quello di un mio compagno lo volgo al suolo per custodire le mie emozioni, senza che altri possano rubarle. Alcuni giorni dopo la visita al secondo campo è meno intensa. Birkenau è un’ immensa spianata di terra divisa da un binario. L’immagine che ho davanti è diversa da quella vista in foto. Si tratta di un campo di sterminio in cui i treni arrivavano e terminavano la loro corsa. Tutti i passeggeri venivano fatti scendere e immediatamente separati tra abili e inabili. Qui il paesaggio è desolante. Posso spostarmi e andare ovunque ma continuo a non vedere nulla attorno a me. Un laghetto mi appare davanti ma è ghiacciato. La nostra guida ci riferisce che la sua acqua continua a rimanere grigia perché quello è il posto dove venivano gettate le ceneri dei defunti. Visitiamo le poche baracche in legno rimaste intatte dopo il tentativo di eliminarle all’arrivo degli alleati. Strutture sempre di legno fungevano da dormitori con accanto le latrine. Non so se sia suggestione ma nell’aria c’è puzza di bruciato. Immagino si tratti di alcuni incendi o fuochi accesi da persone che abitano nelle vicinanze, ma la guida mi spiega che lì non c’è nessuno. Solo alcuni forni e comignoli.
Seguiamo i binari fino a raggiungere le “docce” e contemporaneamente il sole scompare e il cielo si gonfia di nuvole. La natura sembra abbracciare quei luoghi e condividerne la sofferenza. Dall’alto inizia a scendere della neve sottile. Tutto rimane immobile solo i rami delle betulle si scuotono leggermente accompagnati dal vento. Solo gli alberi sono i veri testimoni del passato. Giunge l’ultima sera e iniziano le celebrazioni. È un momento importante del viaggio: ciascuno di noi pone una candela accesa e pronuncia il nome dell’uomo o della donna che aveva memorizzato nei blocchi. A turno- poi- imprimiamo un’impronta sul telone bianco sino a rivestirlo completamente di nero. Per molto tempo mi ero chiesta come fosse possibile che alcuni superstiti non avessero voluto raccontare e avevo provato rabbia nei loro confronti. Credevo che quella decisione rappresentasse un torno nei confronti della storia e fosse dovuta al tentativo di dimenticare. Questo viaggio però mi ha dato la vera risposta. Raccontare un’esperienza così drammatica è davvero difficile. Non perché difficile sia ricordare, ma perché difficile è immaginare che altre persone possano comprendere. A distanza di un anno dal viaggio non voglio dimenticare ciò che ho visto per questo riporto il nome dell’uomo col quale avevo scelto di immedesimarmi: Baumritter Daniel –oggi io ti ricordo.

3 Comments

  1. Anonymous January 30, 2012 5:55 pm 

    Condivido in pieno l’articolo, il giorno della memoria ci sprona a far tesoro degli errori commessi in passato per non ripeterli nel presente…. Purtroppo c’è da dire, di contro, che se, giustamente, si tengono i riflettori accesi sugli orrori commessi dai nazisti, su altri crimini c’è un silenzio…. assordante…. (quando si potranno visitare e ricordare le vittime nei gulag dei paesi dell’est, nei laogai cinesi, a Cuba, in Corea del Nord e via discorrendo? quando si risolverà il problema della fame nel mondo?) La verità è che, a partire dalla Rivoluzione Francese, matrice di tutte le ideologie, il mondo ha rifiutato Dio, gli Stati si sono fatti sempre più assoluti e gli orrori si sono moltiplicati: nazismo, fascismo, comunismo sono tutte facce della stessa medaglia, perchè in tutti e tre i casi lo Stato si è fatto giudice supremo di tutte le popolazioni arrogandosi il diritto di vita o di morte. Per caso anche oggi gli Stati, negando i cosiddetti valori non negoziabili (a cui il Papa fa riferimento), non si arrogano il diritto di vita o di morte sulla vita nascente o su quella in fase terminale? Che differenza c’è tra gli esperimenti di eugenetica messi in atto da Hitler e quello che si fa oggi (sterminio in massa di milioni di embrioni, studi per incrociare cellule umane con quelle animali, eutanasia ecc.)? Sarà un bel giorno quando si condanneranno tutte le ideologie senza appello e si riconoscerà che l’uomo non è solo materia destinata a svanire nel nulla ma ha un anima destinata all’eternità! Cordiali saluti. Mimmo Fraccica.

    • Anonymous January 30, 2012 6:45 pm 

      Non dimentichiamoci quattro o cinque secoli di Inquisizione e guerre di religione però…

      • Anonymous January 31, 2012 12:56 am 

        Certamente anche molti uomini di Chiesa hanno sbagliato, quando hanno tradito il vangelo, al contrario di chi, invece, è stato lucidamente coerente con le ideologie (e comunque, a proposito di Inquisizione, ci sono stati dei simposi internazionali con tanto di processi esaminati a cui hanno partecipato molti “laici” come Luigi Firpo e hanno riconosciuto onestamente che non tutto quello che abbiamo studiato corrisponde a verità. Progressi in campo giuridico come l’avvocato difensore o la giuria giudicante, anche se può sembrare strano, si sono avuti proprio con i processi della “Inquisizione”. Il confronto è positivo quando si riconoscono onestamente
        da qualsiasi parte gli errori commessi e quando si lascia da parte l’ideologia. La Chiesa ha chiesto scusa per i suoi errori, non mi pare ci sia stato qualcun altro che lo abbia fatto (e l’elenco sarebbe lungo 2000 anni…). Distinti saluti. Mimmo Fraccica

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