Taranto e l’Ilva: i due processi

di Francesco Ferri

Venerdì mattina un clima di attesa, quasi solenne, avvolge l’aria intorno a Corso Italia e via Marche, donando connotati quasi mistici. A volte riesce a prendere voce e forma, manifestandosi in cori secchi e precisi, capaci di liberare nell’aria parte di quella carica emotiva nella quale ognuno dei presenti è immerso. Altre volte rimane intima, circoscritta, e trasfigura i volti delle donne e degli uomini, rendendoli allo stesso tempo assorti e fieri.
L’attesa è palpabile, almeno quanto il desiderio di esserci e di contarsi. L’incidente probatorio sulla perizia dei chimici, disposta dal gip Todisco in merito al processo nei confronti dei dirigenti Ilva, è l’occasione per ritrovarsi, riannodare i fili di un lungo e complicato percorso e di assorbire nuova linfa dal vento fresco che avvolge il Tribunale.
Nella variegata composizione delle numerose persone (più di mille) che hanno affollato le vie adiacenti al Tribunale di Taranto, immediatamente si resta colpiti e affascinati, visivamente ed emotivamente, dalla presenza largamente maggioritaria di giovani e giovanissimi. Oltre il dato numerico, anche l’impatto visivo e sonoro da loro prodotto finisce per l’essere l’emozione più significativa della giornata. Se ne avvertiva il bisogno, quasi urgente. Si tratta, senza appello, di una lezione diretta ed efficace in termini di freschezza della comunicazione, capacità di cogliere l’importanza dell’evento e volontà e desiderio di guardare Taranto in prospettiva.
L’informalità e risolutezza dei messaggi indicano che il tempo delle attese è finito: “Noi condannati a morte…voi in attesa di giudizio”; “attenzione, città inquinata”.
Qual è il modo più opportuno per provare a fare i conti con la notevole mole di suggestioni assorbita nella mobilitazione di venerdì scorso? Probabilmente quello di impegnarsi, tutti, in un’ampia riflessione collettiva che provi a individuare le prospettive che ora si aprono davanti all’universo dell’ambientalismo tarantino.

Di chi è l’ambientalismo? Le sensazioni post mobilitazione del 17 possono risultare davvero un’occasione propizia per riflettere sulle caratteristiche della vertenza ambiente a Taranto. Due tra i caratteri strutturali dell’ambientalismo tarantino (la persistenza di un linguaggio spesso tecnicista e il metodo di lavoro prodotto dalle associazione quasi sempre frammentato, ad arcipelago), di fronte al carico di suggestioni di venerdì scorso ne escono, nei fatti, riarticolati. Anche da questo punto di vista l’impatto visivo e la forza del messaggi prodotti dai tantissimi ragazzi e ragazzini aiuta, più di qualsiasi ragionamento empirico, a provare a lavorare in questa direzione.
Una caratteristica dell’ambientalismo tarantino è legata appunto al tipo di linguaggio che mediamente utilizza per comunicare con il resto della città. Viviamo spesso un paradosso: le associazioni che si occupano di ambiente hanno elaborato, nel corso degli anni, una capacità di intervento e di valutazioni tecnica dei fenomeni, indipendente dalle istituzioni preposte, che costituisce una risorsa notevolissima. Il limite in questo senso è spesso legato, nonostante eccezioni tutt’altro che marginali, alla capacità di comunicare queste competenze scientifiche. Questa discrasia ha spesso creato intorno ad eventi cruciali della storia dell’ambiente tarantino (si pensi, per esempio, alla concessione dell’autorizzazione integrata ambientale) un clima di incomunicabilità, anche per colpa di un diffuso tecnicismo nel linguaggio, non consentendo che gli stessi argomenti diventassero oggetto di discussione quotidiana nella vita materiale dei vari quartieri.
La marea colorata di ragazzi che il 17 ha affollato il tribunale, condita da un linguaggio fresco e chiaro, è un’indubbia lezione anche in questi termini a tutte e a tutti i presenti. La capacità di valutazione tecnica resta una risorsa imprescindibile, sia chiaro. Se contaminata con l’informalità e l’efficacia della comunicazione prodotta dagli studenti medi saprà compiere un decisivo passo in avanti in tema di accessibilità del messaggio prodotto.
La giornata del 17 rappresenta anche una prima, significativa risposta ad un’altra caratteristica metodologica dell’ambientalismo in terra Ionica. Il lavoro prodotto dalle varie associazioni risulta essere quasi sempre ad arcipelago, quasi a compartimenti stagni. Le numerose competenze acquisite spesso non nascono e crescono in cooperazione tra soggetti diversi. Mancano, troppo spesso, momenti di reciproca conoscenza e contaminazione tra i vari soggetti che quotidianamente si occupano di analisi e documentazione in tema di ambiente.
Il magma indefinito della giornata del 17 finisce per travolgere anche questa circostanza. Il lavoro quotidiano, con negli occhi la coralità dei salti, delle urla e dei cori dei numerosissimi studenti, ha la possibilità di acquisire nuova linfa in termini di collettività dell’intervento, a partire proprio dalla forza e dall’impatto emotivo prodotto dai tanti giovanissime e giovanissimi.

Il Processo costituente. In ogni caso, sembra difficile superare la data del 17 febbraio senza l’apertura di un’ampia discussione sulla condizione dell’ambientalismo a Taranto. Lo esigono il livello del dramma nel quale tutti siamo immersi, e lo chiedono i volti e le voci dei tantissimi presenti.
In caso contrario, il rischio legato alle giornate-evento è evidente: corriamo il pericolo, travolti dalla carica positiva che ci ha avvolto in quelle ore, di confidare nella capacità risolutiva di una mobilitazione che, per quanto ampia ed articolata, si riduce ad una giornata.
Nell’ottica, invece, nella pratica quotidiana di un cambiamento reale non si parte da zero. C’è chi già immagina una Taranto nuova e diversa ogni giorno, provando a praticare ora per ora un netto e incisivo salto in avanti per tutti. A titolo d’esempio, si sottolinea che in questi mesi gli interventi in tema di riqualificazione degli spazi aperti abbandonati al degrado praticata dal gruppo Ammazza che piazza, di recupero e tutela del patrimonio della civiltà della pesca ad opera dell’ Associazioni le Sciaje e la costruzione di regole economiche radicalmente diverse, attente e giuste verso i tanti sud del mondo per mano dalla Bottega del Mondo hanno costituito, per tutti, un segnale netto e preciso di discontinuità e pratica reale di un’alternativa immediata. Occorre, sulla scia di queste (e tante altre) pratiche quotidiane, provare a costruire materialmente l’auspicata alternativa, provando a fare tutti insieme un passo in avanti significativo.
In questo senso, accanto al procedimento giuridico, c’è davvero l’occasione concreta di tracciare un altro processo ideale. Sia chiaro: è necessario continuare a seguire e presidiare il percorso giuridico della vertenza, pretendendo un risultato giusto e significativo. Occorre però arginare il pericolo che riflessioni del tipo “attendiamo l’esito del processo”, “confidiamo nelle decisioni della magistratura” possano costituire l’alibi di chi, provando a slegarsi della proprie responsabilità istituzionali e politiche, dichiari di attendere l’intervento dei giudici. La pretesa di un immediato intervento politico – indipendente dalle decisioni della magistratura – può acquisire davvero nuova forza e consapevolezza dall’ampia mobilitazione di venerdì.
In tale contesto la portata della giornata del 17, limando i caratteri problematici dell’ambientalismo tarantino, può segnare davvero l’occasione dell’apertura di un processo costituente, capace di unire e contaminare tutte le pratiche virtuose in termini di intervento ecologico, potenzialmente capace di provocare un decisivo passo in avanti nella tanto inflazionata vertenza Taranto. I tempi appaiono decisamente maturi in termini di consapevolezza della problematica, coinvolgimento emotivo e capacità e voglia di mobilitarsi.

Taranto e il Mondo. La successione temporale degli eventi che hanno preceduto l’incidente probatorio del processo-Ilva, ultimo dei quali la storica sentenza del processo Eternit, ha creato una connessione simbolica tra avvenimenti lontani, caratteristica piuttosto rara nell’ambientalismo di terra Ionica. Taranto abita il Mondo, il Mondo abita Taranto. L’elevatissima mole di problemi – e i conseguenti drammi nei quali tutti siamo immersi – spesso finiscono per limitare la nostra vista e, di conseguenza, la capacità di comparazione tra problematiche similari.
Se come campo visivo provassimo collettivamente ad assumere la porzione di spazio delineata tra due ciminiere, tenendo fermi i due cilindri sputafumo come cornice della nostra visione, riuscendo però a raggiungere con la vista le vertenze intorno alle discariche di Chiaiano, raggiungendo poi la Val Susa, per poi proseguire verso qualunque parte del sud della Terra, dopo un iniziale senso di stordimento, mille luoghi della Globo ci sembrerebbero incredibilmente meno distanti. Che si tratti della realizzazione di un traforo che devasta una montagna e la comunità che la abita, che si parli dell’ampliamento di una discarica o dell’inquinamento da produzione industriale da nord a sud del Mondo, l’oggetto delle nostre mobilitazioni risulta essere, irrimediabilmente, il modello di sviluppo che ci affoga, in maniera ancor più drammatica da trent’anni a questa parte. Il neoliberismo si manifesta, in giro per il globo, con forme sempre nuove e diverse. Come antidoto al senso di inadeguatezza e allo scoramento che spesso ci assale, di fronte alla durezza e risolutezza del nemico che abbiamo di fronte nella provincia Ionica, dovremmo collettivamente essere in grado di creare mille connessioni con le mille vertenze che, dalla Puglia al Mondo intero, provano a resistere e a costruire un’alternativa immediata che rimetta al centro della discussione le donne e gli uomini e i loro desideri e bisogni.
Abbiamo necessità di sentirci meno soli, in una comunanza affettiva e metodologica con chi si mobilita in maniera similare alla nostra. É necessario produrre un significativo passo in avanti anche in questi termini, magari proprio a partire da una riflessione collettiva sul senso e la portata delle mobilitazioni di venerdì scorso, seguendo la strada dello scambio, della contaminazione e del sostegno reciproco tra realtà affini, nel segno immediato di un’altra Taranto possibile.

4 Comments

  1. Anonymous February 22, 2012 8:54 am 

    Interessante, l’articolo di Ferri, ma vorrei commentarlo con un po’ di calma, per questo non mi sono buttato a capofitto appena pubblicato.
    Prima questione. Al di la dell’enfasi con la quale un po’ tutti i commentatori(non solo in questo), hanno argomentato il 17 febbraio, arrivando a fare una vera è propria apologia delle presenze davanti al tribunale.
    Come mai c’erano quasi soli studenti(assenza totale dei cosiddetti adulti, o come dicono i dotti “la società civile” tarantina?). Forse perché gli organizzatori dell’iniziativa si sono avvalsi della compiacenza delle autorità scolastiche(come al solito). Infatti, non c’era la mobilitazione degli studenti, che non avevano dichiarato nessuno sciopero, come si faceva quando avevamo la forza di mobilitare interi istituti. Addirittura un editoriale de “La gazzetta del mezzogiorno” ha sostenuto che quello “non si può definire movimento”, perché, secondo lui, quegli studenti erano lì spontaneamente, senza che nessuno li avesse organizzati. Che capacità di analisi, di osservatori strabici; non si è accorto della presenza degli insegnan ti/accompagnatori. Il lavoro, anche encomiabile, che gli organizzatori fanno nel denunciare l’inquinamento, non riesce ad attecchire nella città, e anziché porsi l’ovvia domanda “perché non riusciamo a mobilitare i cittadini”, fanno un’operazione che alla lunga non paga in termini di presa di coscienza. Ecco perché, avrei voluto, almeno da un giovane come te, meno ipocrisia nel commentare la giornata di cui.
    Seconda questione. Il linguaggio non è comprensibile? Sono decenni che lo sento ripetere. La retorica lo de- finisce “politichese”, o anche “sindacalese”. Se si conosce un altro linguaggio lo si usi, ma basta con questa litania. Siamo sicuri che si tratti di “linguaggio incomprensibile”? O si tratta di toccare argomenti sui quali l’opinione pubblica non vuole affrontare per vari motivi. Ricordo quando tentammo di affrontare la questione dell’accerchiamento della Marina militare, con una campagna per limitare lo strapotere militare sulla città. Non solo non ci fu risposta dei commercianti, i quali sicuramente guadagnano sui rifornimenti di vario genere che fanno i militari, ma nemmeno i cittadini che ne potevano avere un beneficio dallo smantellamento di una parte degli impianti militari o anche del muraglione che avvolge il perimetro del quartiere Borgo e di parte del quartiere Tre Carrare. Anche allora qualcuno diceva che “usiamo un linguaggio incomprensibile”. Eppure, se si dialoga con persone della strada (parliamo di oggi) senti la competenza di linguaggio su gli argomenti più disparati: in economia, vedi l’uso del termine “spread”, l’andamento di borsa, la green economy e via discorrendo … Forse dovremmo cercare altrove il motivo di tanto disinteresse alle attività politiche, ambientaliste e sociali. Forse sono stati i tanti bidoni che la popolazione ha avuto, la saccenteria di molti che, pur impegnandosi, molti cittadini vorrebbe risposte non necessariamente ultimatiste, possibilmente avere indicazioni alternative a quelle che vengono proposte dai nostri avversari. Durante la campagna contro il rigassificatore, notevoli furono le invettive che ci scagliavano contro, sempre accusati di non volere nuova occupazione. In una città sempre “a caccia di lavoro”, non è facile fare breccia.
    Terza e ultima questione. Giustamente è posto il problema della frantumazione delle organizzazioni che si occupano di ambiente. Il male più grosso non è nemmeno l’esistenza di tante organizzazioni ma l’incapacità, pressoché totale, di trovare punti di mediazione. Ognuna si pone come “il verbo”, e guai a contraddirla, diventano il nemico giurato. Tempo fa, in un’assemblea organizzata proprio dal giornale che ci ospita, sentii una persona che stava alla presidenza rispondere a un intervento non gradito “toglietemi questo tizio davanti!”. Certamente, aveva la verità in tasca e le doveva fare proprio schifo confrontarsi. Ecco, fino a che ci saranno persone del genere, non faremo un passo avanti. Poi c’è la questione eterna dei partiti, contro i quali ci si scaglia perché farebbero tutto per prendere voti, che “mai si farà come loro”. Invece, all’improvviso ecco che si fa come loro: qualcuno si vuole presentare alle elezioni per prendere voti. Per carità, legittimo. Ma abbiate la coerenza di presentarvi mettendovi in gioco. No! Si va alla ricerca di un “agnello sacrificale”: è sempre meglio che non mettere la propria immagine in gioco. Poi non ci si lamenti se qualcuno dirà “siete tutti uguali”, che è quello che voi dite dei partiti.
    Per finire. La proposta da lanciare, sempre e comunque, è la stessa: apriamo il dibattito a tutti/tutte, esprimendo le nostre proposte ma puntando, quando necessario, a mediare con gli altri. Questo non vuol dire rinunciare al nostro punto di vista, che si potrà propagandare come organizzazione indipendente.
    Scusate la lunghezza.

    • Anonymous February 22, 2012 9:39 am 

      Innanzi tutto la ringrazio per la risposta, nel merito delle interessanti riflessioni da lei evidenziate, e perché come ho scritto sopra, sarebbe utile aprire un ampio dibattito intorno alla giornata del 17.
      Per quanto riguarda la presenza prettamente scolastica alla mobilitazione del 17, io non l’ho vissuta come un significato preoccupante. Mancavano all’appello, certo, rappresentanze cospicue di ampie fasce d’età. Pur trattandosi di un giorno feriale, quindi poco adatto a chi è in età lavorativa, il problema resta, nei termini da lei sottolineati. E’ auspicabile che la numerosissima presenza di studenti possa essere d’aiuto anche in questi termini. Condivo anch’io l’idea, però, che non è possibile che generazioni intere non si assumano, complessivamente, la portata del dramma.
      Per ciò che riguarda il linguaggio, non ritengo che possa rientrare nel canoni di politichese e sindacalese come da lei riportato. C’è una categoria tutta nuova: l’ambientalese, la cui caratteristica macroscopica è, a mio parere, l’incapacità (al netto di importanti eccezioni) di tradurre il tecnicismo dei dati in un canone informale e comprensibile. Io, per esempio, che non ho una formazione scientifica, ho trovato spesso difficoltà a decodificare comunicati/documenti/riflessioni provenienti dagli ambienti ambientalisti (sempre con le dovute eccezioni).
      Condivo in oltre che i “tanti bidoni” che la città indubbiamente ha ricevuto in termini di risposte concrete hanno contribuito a creare un clima di diffidenza, questo è indubbio.
      Si, come ho provato a sottolineare, l’assenza di contaminazione e il lavoro prettamente ad arcipelago generano le problematiche da lei evidenziate. Nel condividere il suo auspicio di un ampio e partecipato dibattito sulle tematiche della mobilitazione di venerdì, la ringrazio ancora per la sua risposta.

      Francesco Ferri

  2. Anonymous February 22, 2012 12:18 pm 

    ma in tutto questo fiume di parole si puo’ sapere cosa hanno deciso in tribunale il 17 febbraio?

    • Anonymous February 22, 2012 1:38 pm 

      E che doveva decidere? Era la prima udienza…

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