Alla ricerca della felicità. Un’avventura nella “terra promessa” Italia

di Serena Mancini

“I soldi non fanno la felicità ma contribuiscono a realizzarla”- sembra questo il motto appropriato per descrivere la condizione di molti immigrati spesso giunti in Italia per realizzare i propri sogni. Oltre ad essere indispensabile per l’acquisto di beni di prima necessità, il denaro è necessario per definire l’identità sociale di ciascuno di loro, in un contesto in cui essi appaiono sempre più invisibili agli occhi dei “bianchi”.
Ibra è un ragazzo ghanese residente in Italia da circa quattro anni. Come molti suoi connazionali è sbarcato a Lampedusa, dove è rimasto per pochi giorni prima di essere mandato a Catanzaro. Nonostante la giovane età ha già alle spalle un curriculum lavorativo di tutto rispetto, che lo ha visto impegnato in diversi tipi di mansioni. Quando l’ho conosciuto Ibra era a Taranto e aveva iniziato a seguire alcune lezioni di italiano per tentare di integrarsi meglio nel contesto cittadino. Da subito sono rimasta colpita dalla sua intelligenza, dal suo forte interesse per il paese di adozione e soprattutto dall’entusiasmo che mostrava nell’approcciarsi alla nostra cultura. La sua storia mi ha molto affascinata, sebbene si fosse rivelata a tratti confusa a causa di ovvie incomprensioni linguistiche.
Sono passati alcuni anni da quando ci siamo visti l’ultima volta; le nostre strade si sono separate ma siamo riusciti a sentirci spesso. Ibra fa parte di una famiglia di cinque figli: uno dei suoi fratelli, il maggiore, lavora in Libia, mentre gli altri tre sono rimasti in Ghana. Ibra mi racconta di aver deciso di raggiungere l’Italia perché fortemente influenzato dalla televisione, che costantemente trasmetteva immagini di un Paese felice e prospero. “Pensavo che qui avrei trovato un buon lavoro e avrei potuto mandare i soldi alla mia famiglia, così ho deciso di partire. Quando ero in Africa vedevo l’Europa in televisione, come vive la gente, come si veste e pensavo che la vostra vita fosse migliore di quella in Africa”. Il viaggio per raggiungere la Libia, da cui avrebbe poi dovuto imbarcarsi, è durato più di due giorni, ma avrebbe avuto durata minore se insieme ai suoi trentasette “compagni di viaggio” non avessero sbagliato strada. “Dal Ghana partono pullman per tutta l’Africa. Da lì abbiamo attraversato il Burkina Faso, il Niger per raggiungere la Libia. A peggiorare il percorso – mi racconta – c’erano diversi posti di blocco, organizzati da algerini che per due volte ci hanno fermati e derubati”. Lì tutti sanno che per raggiungere la Libia si percorre quella strada per cui è quasi certo che si venga minacciati. Raggiunta la Libia Ibra ha dovuto lavorare più di un anno per guadagnare il denaro necessario per imbarcarsi- “in Libia mi sono messo a lavorare e quando ho avuto un po’ di soldi ho pensato che dovevo venire in Europa per fare una bella vita. Ho guadagnato i 1200 dollari che mi servivano per raggiungere l’Italia, così sono partito per mare e sono arrivato qui come quelli che vedi in televisione con i barconi”. Dopo essere passato per Lampedusa e Catanzaro, Ibra è arrivato a Taranto e vi è rimasto per un anno e otto mesi, lavorando per un’azienda di mobili che gli aveva fatto un contratto di nove mesi. “Ho avuto un vero contratto e ho potuto guadagnare qualcosa. Inoltre, mentre lavoravo, seguivo un corso di italiano con la signora Cinzia”. La “signora Cinzia” era in quel periodo una militante del circolo “Che Guevara” di Rifondazione Comunista, nel quale aveva allestito un corso di lingua italiana per immigrati. Perso il lavoro però Ibra ha dovuto cercarlo altrove. “A Taranto per me non c’era nessuna possibilità, quindi me ne sono andato al nord perché lì si dice che il lavoro c’è”.
Inizia così la sua seconda grande esperienza nella città di Lecco, dove conosce una ragazza che gli parla di un progetto per sostenere gli immigrati. “Mi ha detto di una scuola di italiano che prepara per l’esame di terza media e della possibilità di avere alloggi gratuiti. Eravamo 25 persone e ciascuno di noi aveva una stanza doppia. La scuola era molto grande e le lezioni erano organizzate in vari turni dalla mattina alla sera. Il tempo massimo previsto era di otto mesi, ma io ho trovato una signora buona che mi ha accolto come un figlio e mi ha aiutato a rimanere lì per un anno e mezzo. Mi vedeva sempre piccolo! Alla fine però ho dovuto lasciare la casa e non ho potuto completare i corsi e fare l’esame finale. E basta… la storia di Lecco finisce così”. Grazie a questa esperienza Ibra ha effettivamente migliorato molto la sua conoscenza linguistica, ma adesso è dovuto tornare a Taranto. “Per due mesi ho cercato di rimanere vicino Lecco e mi sono trasferito a Bergamo. Quando ho lasciato il centro di accoglienza ho conosciuto un uomo che abita in Italia da 25 anni e mi ha accolto a casa sua ma all’improvviso mi ha chiesto tanti soldi. Abbiamo iniziato a litigare soprattutto perché lui fumava “questa roba di Bob Marley”. Quando lui fumava – madonna mia – mi faceva arrabbiare sempre! Sono rimasto due mesi, ma poi non riuscivo più a pagare l’affitto e me ne sono andato”- afferma nervosamente. Ibra annovera quest’uomo tra le persone “cattive” conosciute in Italia e si dispiace soprattutto del fatto che si trattasse di un suo “compaesano”, ghanese come lui.
Ora è in attesa di conoscere il “responso” che stabilirà se la sua richiesta d’asilo è stata accettata o respinta. Non vede i suoi famigliari da quattro anni, ma riesce a rimanere in contatto con loro telefonicamente. Presto saprà se potrà ricevere dei documenti definitivi per coronare il suo “sogno europeo”. Gli chiedo se potendo tornare indietro preferirebbe restare nel suo paese e brevemente mi risponde che “in Ghana la vita è dura, se io ho qui un documento mi posso sistemare la vita. Tornerei in Ghana per una vacanza con i miei genitori, ma il ritorno in Africa proprio no”. Gli chiedo allora se potendo decidere porterebbe con sé i suoi genitori e, con tutta la maturità che lo contraddistingue, mi risponde che suo padre è anziano per cui per loro è meglio rimanere lì, tranquilli, magari ricevendo un po’ di denaro da lui. “Uno che va in un paese che non è il suo non si trova come a casa e ci sono un sacco di cose faticose da affrontare. Per ora non posso tornare in Ghana senza documenti. Devo aspettare che me li rinnovino. Se mi dovessero negare l’asilo stavo pensando di cambiare Paese e andare in Germania”.
Ibra si mostra fiducioso e spera che gli venga concesso di rimanere in Italia; anche in questo suo discorso si avverte una forte speranza, sebbene le cose non siano poi così semplici. La legge italiana infatti prevede che nel caso in cui venga negato l’asilo il soggetto venga assegnato ad un centro di identificazione ed espulsione (CIE) per essere poi rimpatriato. L’ipotesi del trasferimento in un altro Paese appare dunque particolarmente improbabile. Con tutti questi sogni Ibra sembra distinguersi da tanti altri ventenni suoi coetanei che, pur vivendo in condizioni migliori delle sue, protetti dalle rispettive famiglie e da un sistema legislativo che li tutela, appaiono sfiduciati e sconfitti ancora prima di avere intrapreso un percorso di vita vera. “Io ho sognato l’Italia, ma ora questa vita è davvero dura per me; sto imparando che i sogni possono svanire ma vivere senza soldi è impossibile… con i soldi puoi fare tutto quello che vuoi. Altrimenti come mangi? Come ti vesti? Adesso ho visto che non è come pensavo io, l’Italia non è quello che immaginavo”.

1 comment

  1. Una storia « DDF February 27, 2012 7:06 am 

    [...] sito web di Taranto Siderlandia pubblica un articolo in cui si racconta la storia di un immigrato in Italia. Lo straniero in [...]

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