La bussola perduta. La deriva del PD spiegata da Luciano Mineo

di Gaetano De Monte

Sono questi giorni in cui la sinistra parlamentare, così come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso, vive una crisi devastante, che mette in dubbio l’adeguatezza stessa di questa categoria. In tutta Europa c’è uno spettro che si agita e che evoca qualcosa di mai visto, con l’obiettivo di istituire una (la loro) “nuova democrazia” – un processo che sconvolge in primo luogo le istituzioni della rappresentanza politica, travolte da una trasformazione dall’alto che si svolge rapidissima. In Italia si manifesta una dinamica parallela, che raggruppa in una sintesi “tecnica” la crisi delle alternative, di destra e di sinistra, sterilizzando lo stesso diritto al voto in un processo di convergenza al centro degli schieramenti elettorali in cui il partito unico – od una analoga grande coalizione che è la sua forma di gestazione prediletta – serve agli assetti del capitalismo della crisi per amministrare, gestire – eliminando il dibattito intorno ad alternative non compatibili con il piano economico-finanziario corrente. Nel frattempo a Taranto, alla vigilia di quella che si preannuncia come la campagna elettorale più sclerotizzata di sempre, il maggiore partito del centrosinistra cittadino, il Pd, sembra aver perso la bussola.
“Dove va il Pd non lo sa neppure il Pd”. Comincia così il nostro colloquio con Luciano Mineo, storico dirigente del Pci-Pds prima, e del Partito Democratico poi; più volte consigliere comunale, per tre legislature consigliere regionale. Insomma, per dirla con Max Weber, un “professionista della politica”; inteso qui nel senso migliore della metafora, ovvero come uno che di politica sicuramente se ne intende.

“Ribadisco quello che già nei giorni scorsi ho avuto modo di dichiarare: non solo qui si sta assistendo ad un partito che è completamente allo sbando, perché quello che era il suo progetto nobile originario – quello della costruzione cioè di una grande forza in grado di fondere il meglio delle diverse tradizioni storiche, culturali, e naturalmente politiche italiane – si è rivelato un fallimento. Ma il Pd stesso si sta configurando sempre di più come un aggregato di forze portatrici di personalismi, di ambizioni individuali, quando non addirittura di mere logiche di potere, che non solo ne impediscono la già richiamata fusione, ma che hanno portato appunto a questa situazione di sbandamento in cui versa il partito. Emblematico è quello che è successo negli ultimi mesi, attorno alla dinamica del Partito provinciale. Si convoca dapprima l’assemblea cittadina che indice le primarie. Poi quella stessa assise viene riconvocata ( lasciando perdere i numeri, la legittimità di quell’assemblea, etc) per disdire quella stessa decisione; i circoli sono lasciati al loro destino senza direttive politiche e posizioni da seguire. Ma soprattutto ciò che è più grave è che siamo di fronte ad un partito che sembra non avere un’ iniziativa politica e una sociale, pare incapace di occuparsi dei problemi dei cittadini; non comprende quelli che sono i bisogni reali della società ionica. Ancor più in una città che versa in un emergenza sociale e ambientale drammatica, che è attraversata in generale da varie problematiche, rispetto alla cui risoluzione non si ha una posizione chiara, una visione complessiva, un’idea di città. In verità la riflessione circa la mancanza di un concetto, di un’ idea di società va allargata immediatamente al piano regionale e nazionale.

D’altronde, se un partito che sembrerebbe ancora richiamarsi a taluni valori non difende il welfare, le pensioni, la scuola pubblica, non prende posizione attorno ai temi dell’acqua bene comune, diventa complice della devastazione ambientale in Val Susa, capisce che sembrano esserci delle evidenti contraddizioni?


Intanto condivido questo tuo giudizio, che è lo stesso di quelli che poi alle primarie non votano per i nostri candidati, scegliendo in molti casi quelle che sembrano essere le personalità più dotate di coraggio. Ecco, è proprio il coraggio forse un altro ingrediente che manca ai nostri dirigenti. Bisognerebbe piuttosto, sui grandi temi, sciogliere ogni sorta di ambiguità. Che ci è costata cara a livello di consenso… vedi gli esempi di Napoli, Milano, Genova, Cagliari, della stessa Regione Puglia. Se ne esce con una capacità di direzione in grado di produrre una reale fusione di culture politiche, piuttosto che una semplice unificazione di gruppi dirigenti, leadership e patrimoni. Il tema fondamentale è quale concezione della politica debba presiedere all’esistenza del partito. Quella politica intesa nell’accezione più nobile, con la P maiuscola, che comprende quello sforzo di occuparsi realmente dei problemi della Polis. Invece oggi la concezione che sembra prevalere al nostro interno si manifesta esclusivamente in termini di carrierismo e lotte intestine di potere. Si assiste così alla strumentalizzazione delle posizioni politiche, tesa esclusivamente al posizionamento di ciascuno degli attori coinvolti nelle posizioni di potere migliori.
Ma la politica è un’altra cosa. E’ proprio questa “cultura”, di contro, ad aver prodotto processi degenerativi, da cui, a mio modesto avviso, non se ne esce solo adottando provvedimenti disciplinari, ma anzitutto domandandosi il perché di questa deriva. E riscoprendo, sia chiaro senza nostalgia di sorta, le lezioni migliori che ci sono giunte da un passato ormai remoto. Ecco, ripartiamo, ad esempio, dalla riproposizione della questione morale, così come fu posta trent’anni fa da Enrico Berlinguer nella celeberrima intervista ad Eugenio Scalfari. Interroghiamoci sul rapporto che intercorre tra i partiti e la pubblica amministrazione, su quello tra partiti e cittadini, e comprenderemo così anche le cause di fenomeni come quello dell’antipolitica, che non avvengono a caso, che non sono solo alimentate da personaggi come Grillo, ma traggono la loro linfa vitale, proprio da queste distorsioni, proprio dalla “cattiva” politica.

La sua onesta intellettuale le fa indubbiamente onore. Dopo quella che appare come la sospensione della dialettica parlamentare, avvenuta con il Governo Monti, una parentesi che ci auguriamo sia temporanea, dove andrà il Partito democratico?


La scelta che si pone davanti a noi, a mio avviso, non solo è naturale, ma è necessaria: quella di stare insieme a quelle forze che dovrebbero essere vicine a quella che è la nostra cultura; anche se personalmente non credo si possa racchiudere tutto l’immaginario in una fotografia, è evidente che occorra ripartire da un’alleanza programmatica con Sinistra Ecologia e Libertà e con l’Italia dei Valori, da quella che è stata definita la foto di Vasto.
E’ chiaro che non si possa costruire certamente un carrozzone che racchiuda tutto ed il contrario di tutto, come fu l’esperienza della coalizione che sostenne il Governo Prodi. Partendo naturalmente da un programma, da quello che vogliamo fare. Di questo grande tema, del “che fare”, caro alla sinistra novecentesca, non si può non tener conto. Non si possono costruire le alleanze sul niente, sul semplice calcolo aritmetico, perché questo poi diventa politicismo, semplice gioco tattico. Bisognerebbe piuttosto realizzare una piattaforma di valori comuni, condivisi, un programma di governo snello, chiaro, non come quello di trecento e passa pagine del Governo Prodi, che poi implose in tutte le sue contraddizioni. E non dimentichiamo che le elezioni si vincono, intanto, se si possiede capacità di radicamento nella società, e quella grandezza capace di suscitare passione politica nella cittadinanza. Sono questi i nodi fondamentali da cui il Partito Democratico deve a mio avviso ripartire.

E Luciano Mineo invece, dove andrà, cosa farà da grande?


Partendo da un dato, ritengo di aver avuto una grande fortuna nella vita: quella di aver vissuto un’ epoca gloriosa della politica, fatta di gioie e grandi passioni. Io stesso la mattina mi alzavo con la felicità in corpo di poter andare a fare il militante a tempo pieno, davanti alle fabbriche a distribuire i volantini, attaccare i manifesti, organizzare le gloriose feste dell’Unità, occuparmi dei problemi della gente. Ecco, Luciano Mineo vuole tornare a divertirsi facendo politica, mettendo a disposizione quelle che sono le sue idee, le sue passioni, la sua esperienza, al servizio della buona politica, a Taranto, e non solo.

Noi, intanto, siamo qui a chiederci come sia possibile costruire una reale alternativa di sistema, un cambiamento radicale che non miri semplicemente a sostituire un regime con un mezzo ritorno all’antecedente. Oltre quella gestione bi-partisan della crisi, che mantiene l’asse a destra, producendo ossessioni securitarie e dispositivi di flessibilità della forza lavoro. Provando a buttar giù delle ipotesi, sfiorando incidentalmente il tormentone delle forme organizzative che sempre accompagna una fase di rottura politica come quella che stiamo vivendo. Provando a sfruttare la finestra aperta dalla crisi della rappresentanza politica. Oltre la stessa concezione della sinistra così come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso. “In quel mare incerto chiamato contemporaneità”.

3 Comments

  1. Anonymous March 7, 2012 5:37 pm 

    COMPAGNO CONDIVIDO !! TENG U’ CORE SCHATTATE !!

  2. Anonymous March 7, 2012 5:37 pm 

    Luciano , non sono anonimo sono Piero Nasole !!

  3. Anonymous March 11, 2012 11:52 am 

    Come sempre una analisi lucida ed onesta. Mineo è ancora( e direi sempre più) un punto di riferimento di rilievo per tutti coloro che credono nei valori della democrazia. Sarebbe un gran peccato se voci come la sua finissero per essere emarginate.

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