Il Sindaco e la rotatoria: breve cronistoria di una relazione amorosa

di Francesco Ferri

Che il governo della città abbia a piacere le rotatorie, sembra ormai evidente. Che si tratti di ampie e maestose costruzioni, come quella situata all’incrocio tra Viale Magna Grecia e Corso Italia, o che si tratti di edificazioni circolari di piccola taglia, quasi intima e con finalità decorative, come quella in corso di realizzazione proprio sotto Palazzo di Città, poco importa. L’amministrazione comunale in corso (e ovviamente non solo essa) sembra nutrire attrazione per questo tipo di costruzioni.
Nelle righe che seguono, si proverà ad assumere proprio la rotatoria (cosi presente nell’urbanistica di terra Ionica) come possibile paradigma dei cinque anni di amministrazione comunale. Non si parlerà – ovviamente – di gestione del traffico cittadino, né tanto meno di decoro urbano. Si proverà invece a riflettere su come la metafora della rotatoria, con la sua carattere di circolarità, possa essere una possibile chiave di lettura delle (mancate) scelte politiche dell’amministrazione uscente.
Il punto di partenza del ragionamento è semplice: quando si percorre una rotatoria (e quando si amministra una città) se non si imbocca una delle possibili vie d’uscita che si presentano davanti alla traiettoria intrapresa, si finisce per tornare al punto di partenza (peggio: si rischia di tornare indietro).

Sono indubbiamente molteplici le possibili vie di fuga (politiche) che si sono presentate davanti all’amministrazione comunale nell’ultimo quinquennio. Per vie di fuga intenderemo riferirci a possibilità reali, portatrici di istanze politiche e di un alternativo sistema di valori, presentatesi lungo il percorso della giunta comunale, potenzialmente capaci di invertire radicalmente la storia di questa amministrazione (e, forse, di questa città).
Ne prenderemo in considerazione tre. Non perché tutte le (numerose) altre siano meno significative ed importanti. Al contrario, gli esempi presi in considerazione sembrano racchiudere spirito e forma delle mille opportunità di via di uscita presentate davanti alla giunta Stefàno.

5 anni fa: voglia di riscatto. Una prima occasione per invertire la traiettoria rispetto ai dissesti (economici e sociali) causati dalle giunte di centrodestra si è materializzata ancor prima dell’insediamento dell’attuale amministrazione, e risiedeva nel desiderio di rivalsa e dalla voglia di provare a guardarsi in prospettiva, che hanno investito il dibattito cittadino prima delle scorse elezioni comunali. Un certo spirito di riscossa civica, una certa voglia di partecipare e di mettersi in discussione, hanno attraversato i discorsi e i progetti della coalizione che ora amministra la città. Certo, nell’eterogeneità della formazione culturale e politica delle personalità in questione, e nel loro assemblaggio a freddo, quasi in provetta, privo di contaminazioni reciproche nel medio periodo, si sarebbe potuto già leggere il segno delle mille difficoltà in termini di univocità dell’indirizzo politico da assumere.
In ogni caso, l’amministrazione cittadina perse l’occasione – fin da subito – di rimanere in connessione con lo spirito di rivalsa e di partecipazione che (per la verità senza neanche troppa diffusione), provava a farsi strada in città nell’immediato post Di Bello.

Forma e sostanza della vertenza ambiente. La maggior parte dei ragionamenti di questi cinque anni di governo fanno indubbiamente capo alla costantemente citata “questione ambientale”. Nel suo complesso, l’amministrazione non si è lasciata coinvolgere, contaminare, trasportare dalla forte (e crescente) tensione, e dalla voglia di contribuire alla creazione di un’alternativa – di economia e di pensiero – rispetto al disastro quotidiano, proveniente dalla parte più illuminata del “movimento ambientalista”, quella cioè in grado di individuare le cause strutturali della tragedia in corso (il modello di sviluppo che da un trentennio ci strangola).
Questo sostanziale distacco e questa freddezza hanno agito in due direzioni. Nel metodo della costruzione dell’intervento in tema di risposte all’inquinamento industriale, la giunta comunale non si è mostrata attenta a coinvolgere l’universo delle competenze tecniche indipendenti che pure caratterizzano le mobilitazioni tarantine (un esempio su tutti: si veda come è stata costruita la recente ordinanza del sindaco). Inoltre, nel merito delle scelte intraprese, il percorso degli ultimi cinque anni di governo non è mai riuscito a tracciare ipotesi strutturali che provassero a progettare un distacco dal neoliberismo, ampiamente dominante anche alle nostre latitudini.

Teoria e pratica referendaria. Le ipotesi in merito alla possibilità di un approccio alternativo nella progettazione della vita della città erano – e sono – argomenti ampiamente presenti nel sistema di competenze e di valori proposti, anche a Taranto, dai comitati referendari in merito alla gestione delle risorse idriche e sul nucleare. L’opportunità di connettersi a questa terza possibile via d’uscita, per la storia dell’amministrazione comunale (e per la storia della città), era assolutamente da non perdere. Il comitato referendario aveva creato anche a Taranto un interessante dinamismo culturale, che stimolava ad interrogarsi su aspetti pratici della vita politica locale: rapporto tra cittadini e erogatori dei servizi, rapporto tra amministrazioni locali e municipalizzate, gestione delle tariffe.
Per gli amministratori di Taranto (in misura ancor maggiore rispetto ad altri luoghi), la campagna referendaria è stato un’occasione – probabilmente l’ultima – per provare ad acquisire una possibile chiave di lettura per i complessi fenomeni cittadini (non soltanto in merito ad acqua ed energia), ed assumere allo stesso tempo un percorso netto, deciso, in termini di superamento dell’attuale modello di sviluppo cittadino.

L’indice della distanza culturale e politica – incolmabile – tra il percorso (circolare) dell’amministrazione e le possibili vie di uscita presentate lungo la sua rotta è ben rappresentato dalla surreale discussione avviata in consiglio comunale, poche settimane prima del voto referendario dello scorso giugno, in seguito alla richiesta formulata dal comitato Acqua bene comune di schierarsi per il “si” al referendum. Gli interventi degli stralunati consiglieri di maggioranza oscillavano da un imbarazzante “noi rappresentiamo tutti, non possiamo assumere posizioni politiche” ad un curioso “ma se facciamo la campagna per il si, per par condicio dobbiamo farla anche per il no”.

L’andamento circolare, lineare e continuo, della traiettoria assunta dall’attuale giunta comunale ha caratterizzato gli ultimi cinque di governo, impedendo connessioni tra il percorso intrapreso dall’amministrazione e le (molteplici) possibili vie di fuga (virtuose) presentatesi davanti.
Forse, in maniera più generale, sembra essere il concetto stesso di rappresentanza a risultare – a Taranto ed a ogni livello – ontologicamente predisposto per tracciare traiettorie sempre e solo circolari e chiuse, che inseguono se stesse.
Fuori ed oltre alle mille promesse di una (qualitativamente alquanto modesta) campagna elettorale, occorrerebbe riflettere collettivamente, anche a Taranto, in merito a quale possa essere la modalità più efficace per provare a sfilare al frastornato mondo della rappresentanza lo scettro della decisione politica.

4 Comments

  1. Anonymous March 6, 2012 10:38 am 

    Credo che il tuo accenno al mancato schieramento nelle occasioni referendarie abbia centrato il vero nodo del deficit di credibilità di questa amministrazione. Se una formale equidistanza può essere comprensibile, non necessariamente accettabile, da parte del Sindaco (molto romanticamente “il Sindaco di tutti”), è un paradosso che chi giunge al governo perché é espressione di una parte, dunque in senso positivo e proattivo portatore di valori e interessi , si rifugi nell’essere al di sopra delle parti in scelte cruciali per la comunità e per di più espresse dalla propria “parte”. Delle due l’una: o si è culturalmente incapaci di svolgere il mandato dei propri elettori, oppure gli interessi di parte delle proprie origini sono venute nel frattempo a confliggere con quelli di altre parti che nulla hanno a che vedere con le istanze di partenza. E sinceramente, non so quale delle due ipotesi sia la peggiore.

    • Anonymous March 6, 2012 10:39 am 

      Scusa, il commento di prima è mio. Cosimo Nume

  2. Anonymous March 6, 2012 11:26 am 

    Si, in qualche modo la discussione durante il consiglio comunale in merito alla campagna referendaria anche secondo me è il paradigma di cinque anni di amministrazione. Con questo stesso criterio di valutazione, è possibile leggere pressoché ogni tipo di intervento amministrativo. C’è un deficit evidente anche sul concetto stesso di “politica”. In questo senso, ho la sensazione che anche nell’amministrazione comunale sia prevalso un’idea di politica piatta, neutra, bianca, svincolata da qualsiasi percezione di valore sul mondo circostante. Come se amministrare un condominio o amministrare una città siano in fin dei conti azioni similari. Francesco Ferri

  3. admin March 6, 2012 12:06 pm 

    Condivido le valutazioni d entrambi. Purtroppo però dobbiamo constatare che il processo di “sbiadimento” della politica a Taranto coinvolge l’intero arco del centro-sinistra (includendo la galassia ambientalista). La soluzione del “civismo” è ormai condivisa trasversalmente e nessuno dei prossimi candidati a sindaco in quel campo assumerà una chiara identificazione. Questo a me preoccupa, dal momento che non ho mai creduto alla retorica dell’identità “debole” (o “fluida” o come dir si voglia): quando viene meno un’identità ne subentra un’altra, diversa da quella originaria, il più delle volte mutuata dal campo avversario. Nino Gramsci avrebbe detto che si tratta di un passaggio fondamentale nell’affermazione dell’egemonia dei gruppi dominanti. In questo senso Taranto rappresenta in maniera nitida agli occhi anche degli osservatori più distratti una dinamica di ampiezza nazionale (e persino internazionale). Una dinamica che, al momento, incontra purtroppo una troppo debole opposizione.
    Salvatore Romeo

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