Di chi è la politica a Taranto?

di Francesco Ferri e Francesca Razzato

La campagna elettorale offre uno spaccato piuttosto interessante su alcune caratteristiche della vita politica tarantina. L’occasione sembra propizia per provare a produrre una riflessione, che però sia decisamente più ampia rispetto agli argomenti proposti finora dai contendenti. Provando a sfuggire dai discorsi di campagna elettorale dei candidati sindaco, quasi sempre circoscritti intorno a nomi e/o a programmi decisamente astratti, si cercherà di mettere in evidenza alcune costanti, capaci di delineare i connotati del dibattito elettorale a Taranto.

Un gioco di ruolo. La campagna elettorale sembra davvero un gioco di ruolo nel quale, nell’eterogeneità delle posizioni in campo, le forze politiche devono tutte rispettare una serie di costanti, quasi codificate, dalle quali nessuno di chi si candida ad amministrare la città può prescindere. I percorsi personali e politici dei vari candidati a sindaco sono ovviamente vari e diversi, questo è innegabile. Ciò che proviamo a sottolineare è che il meccanismo della rappresentanza produca anche nella nostra città un livellamento metodologico e di atteggiamento culturale verso il quale tutti i contendenti sono inevitabilmente attratti.
In questa direzione si segnala che nei discorsi elettorali aleggia sempre un’ampia e trasversale fiducia per l’immediato futuro. Fiducia che non prende quasi mai atto – perché non può farlo, essendo una caratteristica saliente del gioco di ruolo in corso – dei dati di realtà, chiaramente drammatici. Fiducia sempre a priori, immutabile, che finisce per creare una falsa percezione di semplicità e di immediata risolubilità con riferimento agli enormi problemi che ci avvolgono, ambiente in testa.
Inoltre il gioco di ruolo della rappresentanza produce perennemente discorsi di autosufficienza, che lavora in due direzioni. Autosufficienza verso le altre forze politiche impegnate nella campagna elettorale. Il copione è abbastanza noto: ogni forza politica tende a ridurre la complessità del reale, suggerendo che essa stessa è l’unica soluzione possibile per i problemi dell’esistente. In aggiunta, quel che appare più grave è che l’autosufficienza lavora anche, costantemente, verso l’esterno. Taranto vive una chiara stagione di (autoproclamata) autonomia del politico. É sicuramente il retroterra culturale e metodologico delle relazioni dell’amministrazione comunale nell’intero ultimo quinquennio. Basti pensare alla grave mancanza di coinvolgimento delle associazioni e dei movimenti in riferimento alle scelte cruciali per la vita della città.

Chi decide cosa? Il punto sembra essere significativo. Siamo di fronte ad una situazione abbastanza singolare. Le istituzioni pubbliche, anche a Taranto, vivono un fenomeno che appare irreversibile: hanno un peso contrattuale decisamente basso, e una possibilità di intervento e di decisione politica notevolmente erosa. L’erosione avviene in due direzioni. Verso l’interno (si pensi a quante volte gli assessori comunali e lo stesso sindaco hanno lamentato che i dirigenti comunali e tecnici possiedono nei fatti un potere notevolissimo) e verso l’esterno. Questo secondo tipo di erosione è in questo momento il più pericoloso, e assume notevole rilevanza se prestiamo attenzione alle relazioni normalmente in atto tra amministrazione comunale e grande industria. Gli amministratori cittadini hanno costantemente un atteggiamento remissivo, estremamente prudente, nei confronti degli impianti inquinanti. A queste latitudini il rapporto di forza pende chiaramente dalla parte delle grandi fabbriche.
Il problema è ovviamente di portata generale: non solo a Taranto è in corso una costante sottrazione, a favore dell’economia e di istituzioni non rappresentative, della sfera della decisione pubblica. Nel capoluogo ionico però questa circostanza è ancor più aggravata dall’enorme forza contrattuale della controparte (la grande industria) che aumenta esponenzialmente la velocità e la profondità dell’erosione stessa.

Cosa c’è fuori dalla finestra? Siamo probabilmente arrivati al nodo della questione. Si discute pochissimo (specie in campagna elettorale, proprio per i motivi sopra descritti) sui rapporti di potere attualmente in atto a Taranto, e sul peso contrattuale che le amministrazioni comunali (di qualsiasi colore politico) siano realmente in grado di far valere. Si badi bene: il discorso non coinvolge solamente l’amministrazione uscente, ma è ugualmente valido per chiunque venga dopo di essa. Ovviamente, nel gioco di ruolo, le varie forze partitiche in nessun caso possono sottolineare pubblicamente la rilevanza (e l’irreversibilità) della problematica. L’esistenza stessa dei partiti sarebbe, quasi per definizione, messa in discussione da un’ampia riflessione in questi termini.
Occorre invece prendere atto, con urgenza, della situazione delineata. Il livello dei drammi nei quali siamo immersi lo richiede. Occorre ragionare realisticamente su come, una volta preso atto dell’irreversibilità dello scenario delineato, provare a contrapporre un rapporto di forza rilevante nei confronti di chi impone nei fatti anche a Taranto un modello di sviluppo parassitario e violento.
Non si parte ovviamente da zero. Si respira da diversi mesi un certo dinamismo, anche in merito alle mobilitazioni contro l’inquinamento. Proprio per questo, non bisogna concedere al mondo della rappresentanza (chiaramente in crisi, come sopra descritto) l’enorme regalo di rifuggire dalla sfida della politica (come invece purtroppo di frequente avviene a Taranto) intesa come analisi e pratica intorno ai problemi del mondo.
L’esperienza in corso da Venerdì 16 Marzo di Occupy ArcheoTower (l’apertura di un laboratorio politico che ha la prospettiva di avviare un’ampia discussione in merito al rapporto tra politica e movimenti, proprio a partire dalla crisi della rappresentanza) è sfida aperta in questi termini. Non è ovviamente l’unico percorso che prova a lavorare in questa direzione, e per giunta non vorrebbe mai essere esclusivo. Però qualcosa di significativo ha l’ambizione di crearlo. La pratica della riqualificazione di uno spazio abbandonato è, allo stesso tempo, anche il tentativo di aprire uno spazio pubblico non statale, che proprio in concomitanza con la campagna elettorale possa provare a dimostrare che può esistere anche a Taranto un tipo diverso ed entusiasmante di rapporto tra politica e vita.
Il mondo della rappresentanza tende, come riflesso incondizionato, a presentare i meccanismi di delega come l’unica forma possibile di vita politica. Occorre invece non cadere in quest’errore, magari lasciandosi contaminare culturalmente con i movimenti trasnazionali che, dal Nord Africa a New York, sono l’elemento politico più significativo dell’ultimo anno.
Occupy ArcheoTower è un tentativo di lavoro pubblico in questa direzione. Occorre provare a guardare in prospettiva, fuori dalla finestra, oltre la casa della rappresentanza, ormai vecchia e in corso di demolizione. Non è però per nulla scontato che dopo di essa sorga una forma di politica nuova e più bella. Bisogna proprio per questo lavorare con tutte le risorse possibili, per spingere collettivamente in questa direzione, soffiando sul vento della partecipazione, ed occuparci degli affari della nostra vita.
Che al Mondo, e a Taranto, piaccia o meno.

2 Comments

  1. Anonymous March 23, 2012 4:01 pm 

    A ME NON PIACE! CHE RAGAZZACCI!

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