Nuovi tagli di corsi e aumenti di tasse per l’Università a Taranto?

di Mara Pavone

Nei primi mesi del 2012 il governo ha approvato due decreti riguardanti rispettivamente l’accreditamento degli atenei e il reclutamento negli stessi. Anche questi provvedimenti, come quello riguardante l’aumento della tassa regionale, sono decreti attuativi della l.240/2010 c.d. “Legge Gelmini”. Questo dimostra ancora una volta come il Ministro Profumo non abbia intenzione di cambiar rotta rispetto all’ex Ministro.

Partiamo con la questione dell’accreditamento degli Atenei. Oggi questi vengono valutati dai nuclei di valutazione interni agli Atenei e dall’Anvur (Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca). In sostanza per istituire un nuovo corso di laurea si devono rispettare degli indicatori definiti dal Miur (avere un determinato numero di docenti, corrispondenza degli insegnamenti ecc..) che vengono controllati dal nucleo di valutazione dell’ateneo e poi dal Miur.
Esistono poi dei criteri premiali (per la valutazione della didattica e della ricerca degli Atenei) che assegnano una quota parte del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario – principale fonte di finanziamento dell’Università Pubblica, tagliato drasticamente con la l. 130/2008) agli atenei “virtuosi”, cioè quelli che ottengono un punteggio migliore nella valutazione. Questa quota è andata progressivamente crescendo passando dal 7 al 12% del FFo.

Il nuovo sistema di accreditamento prevede che i criteri di valutazione vengano stabiliti unicamente dall’Anvur. Questi sono stabiliti in coerenza con gli standard e le linee guida tracciate dall’Associazione europea per l’assicurazione della qualità del sistema universitario (Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Association for Quality Assurance in Higher Education – EHEA).
Va precisato però che in questo modo l’ANVUR, agenzia di valutazione creata composta da 7 persone nominate direttamente dall’ex Ministro, stabilisce tutti i criteri per la valutazione degli atenei, e quindi il Miur li deve assumere senza poter proporre modifiche.
Le sedi, cioè le università e le loro sedi distaccate, devono subire una valutazione quinquennale. Per questa valutazione il decreto inoltre prevede che l’Anvur possa avvalersi di esperti esterni con il compito di visitare direttamente le sedi universitarie, tutto questo a carico del bilancio dell’Anvur stesso che, in questo modo, potrebbe registrare dei costi elevati soprattutto se la valutazione viene appaltata ad agenzie esterne. Il Miur può chiedere un ulteriore parere, ma questo è comunque sempre fornito dall’Anvur e diventa insindacabile.
L’Anvur riceve un potere molto forte, che non è controllabile nemmeno dal Miur. Basti pensare che se una nuova sede universitaria non riceve un parere favorevole non può essere aperta, oppure se una sede già esistente non riceve un parere favorevole per l’accreditamento viene soppressa; in alternativa l’Anvur può proporne la fusione con una o più altre sedi, come previsto dall’art 3 della legge 240/2010.
Lo stesso meccanismo vale per i corsi di studio, questo significa che l’Anvur può decidere in maniera autonoma la soppressione di corsi di studio o la loro fusione.
Nel decreto si prevede che l’Anvur si avvalga de nuclei di valutazione dei singoli atenei che ogni 5 anni per le sedi e ogni 3 anni per i corsi di laurea redigeranno delle relazioni tenendo conto dei criteri stabiliti dall’Anvur stesso. A seconda dell’esito di queste relazioni l’Anvur può decidere di revocare l’accreditamento o meno con le relative conseguenze appena descritte.
Queste valutazioni servono per l’assegnazione dei finanziamenti, che vengono distribuiti in base ad una classifica degli Atenei che premia quelli migliori a discapito di quelli peggiori. Tutto sommato, sotto questo aspetto, non cambia molto rispetto al sistema attuale; il problema vero è il potere dell’Anvur di poter chiudere una sede o un corso di laurea in base ad un parere, senza possibilità per la sede di opporsi a tale decisione. È ovvio che un sistema così costruito non è pensato come uno strumento per il miglioramento della didattica, ma solo in termini punitivi.
Sembra che l’obiettivo principale di questo sistema sia diminuire i corsi di studio, inoltre si mettono in difficoltà le università del sud che oggi si collocano spesso ai gradini più bassi delle classifiche; se pensiamo poi che la nostra è una sede distaccata dove per lo più vi sono corsi di laurea fotocopia a quelli delle sedi di Bari, è facile pensare che i primi ad essere danneggiati da questo sistema di valutazione saremo proprio noi. Ecco perché chiediamo costantemente che a Taranto vengano istituiti dei corsi di laurea di eccellenza, che abbiano una propria particolarità che li differenzia da quelli delle sedi universitarie circostanti, ma che allo stesso tempo forniscano un titolo di studio spendibile su tutto il territorio nazionale, con relativi laboratori e didattica d’eccellenza; se la situazione rimane come quella attuale rischiamo seriamente che i nostri corsi di laurea vengano chiusi a causa di un semplice parere negativo.

Riguardo il reclutamento di personale negli atenei, con la l. 1/2009, che modificava quanto previsto dalla l. 133/2008, si sono introdotti limiti alle assunzioni di personale docente e tecnico amministrativo. Si rendevano possibili assunzioni nei limiti del 50% del personale andato in pensione e solo se il rapporto fra tra gli stipendi del personale a tempo indeterminato fosse risultato minore del 90% del finanziamento statale ricevuto dallo Stato. Questo ha implicato che tutti gli atenei che sforavano questo limite hanno dovuto rivedere la propria offerta formativa, modificandola per adattarla al numero di docenti già presente non potendo assumerne altri.
Le nuove regole, delineate dal recente decreto, prevedono che le spese del personale vengano rapportate al totale delle entrate in bilancio, quindi oltre al finanziamento statale si tiene conto delle tasse universitarie versate dagli studenti. Da questo si deduce che gli atenei, se vorranno assumere nuovi docenti per ampliare la propria offerta formativa o migliorare la didattica esistente, avranno come unica possibilità quella di aumentare le tasse universitarie, questo anche perché viene posto un limite alle spese di indebitamento di ogni ateneo (cioè un limite ai mutui che gli atenei potranno contrarre per spese di edilizia, investimenti ecc..).
Considerando che i finanziamenti all’Università Pubblica sono in costante diminuzione, l’unica strada percorribile per gli atenei che vogliono assumere nuovo personale sarà quella di aumentare le tasse universitarie. Anche questo tipo di provvedimento colpisce soprattutto le sedi distaccate come quella di Taranto: basti pensare che noi paghiamo le stesse tasse degli studenti di Bari ma abbiamo numerosi servizi in meno, e certamente un aumento delle tasse ci danneggerebbe ulteriormente, perché aumenterebbe il divario tra l’alta contribuzione pagata e il basso livello di servizi offerti.

2 Comments

  1. Anonymous May 26, 2012 11:21 am 

    infatti l’altro giorno parlavo con una mia collega che va a bari, le tasse hanno lo stesso importo ma i servizi sono diversi, non si potrebbe fare qualcosa?
    Anche perchè molti studenti come me lavorano per pagarsi le tasse…

    • Anonymous May 27, 2012 10:10 pm 

      Se ci fosse corsi di laurea qualitativamente migliori si avrebbe una valutazione positiva dei corsi di laurea e della ricerca a Taranto.
      Taranto però ha diversi problemi da questo punto di vista: i corsi di laurea spesso sono fotocopia di quelli di Bari, la riforma poi ha imposto dei tagli, e a Taranto sono stati fatti dei corsi di laurea misti (cioè una fusione di quelli vecchi – l’alternativa era la chiusura) di dubbia utilità. C’è da considerare inoltre che sono pochi i docenti che sono disposti ad insegnare a Taranto, e con quelli che ci sono vengono creati i corsi di laurea (questo significa che i corsi di laurea vengono creati non tanto sulla qualità del corso stesso, ma sulla base dei docenti – e quindi relative materie – che ci sono).

      Poi per quanto riguarda quei servizi che devono essere forniti dall’ADISU c’è un discorso a parte. Come ente l’ADISU non ha intenzione di investire soldi per aprire una mensa oppure una casa dello studente (per quest’ultima erano stati trovati addirittura i fondi, ma il progetto naufragò) perchè comunque sono pochi gli studenti che ne usufruirebbero.

      Il punto quindi è questo: si devono creare dei corsi di laurea migliori che permettano di attirare più studenti. In questo modo si hanno più fondi per il funzionamento dell’università (corsi di laurea, laboratori ecc..) e aumentano gli studenti (dunque aumenta la domanda di servizi e l’ADISU è disposta ad investire).

      Mara Pavone

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