Decreto ILVA: una non-soluzione che aggrava la crisi

di Luca Solcacielo e Ciccio Munafò

Il decreto d’urgenza con cui il governo tecnico a guida Monti ha cercato di dipanare la matassa della “questione ILVA” rischia paradossalmente di aggravare una situazione già drammatica.

Il provvedimento, già ribattezzato “salva-ILVA”, assume l’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) concessa lo stesso ottobre come vincolo ultimo, innestando su questa degli elementi straordinari. Vediamo quali.

  1. Si consente ad ILVA di produrre e commercializzare laminati fino alla scadenza della stessa AIA, in deroga ai provvedimenti di sequestro ordinati dalla Magistratura. Nel frattempo però che ne sarà dei prodotti e dei semilavorati sequestrati qualche giorno fa? E’ materiale realizzato quando gli impianti erano ancora “sigillati”: il dissequestro di quelle merci dovrebbe quindi implicare un principio (illegale) di retroattività. Andrebbero dunque semplicemente accantonati, con conseguente danno economico per l’azienda.

  2. L’Ilva è vincolata ad attuare l‘AIA, pena il decurtamento del 10% del fatturato – una cifra che, dato il trend degli ultimi esercizi, si aggira intorno agli 800/900 milioni di Euro, pari agli utili che il gruppo ha maturato negli anni del boom del mercato siderurgico (2006/2007). Va da sé che un’ammenda del genere porterebbe la società a non poter far fronte all’impegno dell’attuazione dell’AIA; si aprirebbero quindi scenari inediti. Inclusa la possibilità di esproprio, dal momento che il decreto cita espressamente gli artt. 41 e 43 della Costituzione, che prevedono questa misura.

Tale prospettiva è tutt’altro che improbabile, dato che a tutt’oggi l’azienda non ha presentato ancora un piano industriale (con relativa copertura finanziaria e piano degli esuberi temporanei). Se a ciò sommiamo l’attuale situazione economica di ILVA (tutt’altro che brillante) e la congiuntura che il mercato dell’acciaio sta attraversando, qual è la reale capacità dell’azienda di far fronte ai lavori necessari nei tempi prestabiliti? E’ questo il vero punto nodale attorno al quale la vicenda potrebbe presto avvitarsi.

  1. L’intero processo di adeguamento sarà seguito da un “garante”, che dovrebbe vigilare sull’attuazione dell’AIA – che stabilisce termini precisi per l’ammodernamento dei diversi impianti. Questa figura avrà a disposizione un certo fondo (600 mila Euro in tre anni), che dovrebbe garantirle di procedere in autonomia ai controlli – si presume dunque che verrà creata una struttura tecnica di supporto. Una cosa però non è chiara: i controlli saranno di natura meramente industriale – cioè riguarderanno i lavori di rifacimento/trasformazione degli impianti e delle pratiche operative – o verranno estesi anche alla sfera societaria? La questione non è di lana caprina, dal momento che a tutt’oggi l’azienda ha annunciato cifre assolutamente inadeguate a coprire lo sforzo che sarà necessario per mettere a norma il siderurgico jonico (la punta più alta sono stati i 460 milioni prospettati da Ferrante alla fine di questa estate, che però dovevano servire a ottemperare prescrizioni previste dalla vecchia AIA – concessa nell’agosto 2011 con quattro anni di ritardo rispetto alla scadenza fissata dalle autorità europee).

 Tutte queste considerazioni rischiano però di essere complicate dalla possibile inefficacia del decreto – nonostante la sicurezza ostentata dall’esecutivo. Se infatti, come appare probabile, la Procura di Taranto ricorrerà alla Corte Costituzionale contro il provvedimento, questo potrebbe essere considerato nullo e si tornerebbe punto e a capo. Inoltre il ricorso alla Consulta potrebbe rappresentare un alibi con il quale l’azienda andrebbe a giustificare alcuni ritardi nell’applicazione dello stesso decreto – per esempio, ILVA potrebbe denunciare una difficoltà di accesso al credito, come ha già fatto in riferimento ai pronunciamenti e ai sequestri delle aree da parte della Magistratura.

Da quanto detto emerge che un “lieto fine” per l’ILVA targata Riva è solo una remota possibilità. Da una parte, le reticenze dell’azienda sul piano industriale alimentano qualcosa di più che un semplice timore – d’altra parte lo studio dei bilanci pubblici ha rivelato che la capacità di investimento della società al momento sarebbe in grado di mobilitare poco più di 1 miliardo di Euro (Passera ha ribadito che ne servono almeno tre volte tanti per la messa a norma di Taranto). Dall’altra, l’eventuale annullamento del decreto ristabilirebbe lo stallo in cui ci troviamo, per cui la proprietà sarebbe costretta a fermare gli impianti e impiegare da subito cifre di cui però non dispone pienamente, senza per giunta la possibilità di commercializzare i prodotti. Insomma, in un caso o nell’altro si renderebbe necessario l’intervento di un soggetto terzo per attuare la completa messa a norma dello stabilimento.

A questo punto si aprono tre possibili scenari:

  1. Un nuovo acquirente per l’intera società ILVA, che abbia capacità adeguate a sostenere i costi della messa a norma. Ma chi – nella ricordata fase di congiuntura – sarebbe interessato a uno stabilimento su cui ci sono da fare miliardi di investimenti, mentre persiste una situazione compromessa dal punto di vista giudiziario? Piuttosto farebbe comodo a molti concorrenti che capacità produttive di quella proporzione sparissero d’amblée, in modo da allentare almeno un po’ la grave situazione di sovracapacità che in questo momento affligge la siderurgia (in particolare quella europea).

  2. Un socio, che entri nel capitale della società portando la liquidità necessaria a realizzare gli investimenti previsti. Questa prospettiva sembrava essersi affacciata nelle settimane precedenti il sequestro delle merci, quando si erano fatte molto insistenti le voci sull’ingresso in società della brasiliana Vale, una delle tre multinazionali che controllano il mercato mondiale del minerale di ferro. Sarebbe una possibile soluzione, che tuttavia non considera il problema in assoluto più importante. Il punto, taciuto da (quasi) tutti è che a tutt’oggi ILVA è un’impresa senza imprenditore – con ciò non si intenda semplicemente un “uomo solo al comando”, ma un intero gruppo dirigente. La “vecchia guardia” è agli arresti – o addirittura, come nel caso di Fabio Riva, in latitanza – e non si capisce bene chi, quando e come potrebbe subentrarle. D’altra parte il rapporto con gli stessi azionisti di minoranza sembra tutt’altro che sereno. Gli effetti di questa situazione sono palpabili in stabilimento, dove la catena del comando – in passato quasi militare – negli ultimi giorni si è pressoché dissolta. Il problema non è di secondaria importanza, dal momento che per portare a termine un piano industriale che si propone di ridisegnare complessivamente la struttura produttiva di uno dei più grandi gruppi della siderurgia europea serve una leadership forte, riconosciuta, dotata di una visione strategica. Insomma, prima ancora di fare piani d’impresa, è urgente trovare chi li elabori e li attui ad ogni livello (produttivo, commerciale, logistico, di gestione del personale ecc.). E’ materia tanto complessa che deve essere trattata da un soggetto con la necessaria predisposizione e lucidità, caratteristiche che sicuramente non possiamo annoverare tra la famiglia Riva, allo stato attuale e in prospettiva – tenuto conto che il filone di inchiesta sul sistema di corruzione realizzato dall’azienda è ancora alle sue battute iniziali e impegnerà a lungo i membri dell’attuale gruppo dirigente.

  3. Se la siderurgia è un settore strategico e irrinunciabile per il sistema paese occorrerebbe, in ultima analisi, “creare” un imprenditore che sia in grado di affrontare la sfida dell’ammodernamento dello stabilimento di Taranto e della ristrutturazione complessiva del gruppo. Insomma, un soggetto che si assuma un rischio di impresa al momento altissimo tanto per l’entità degli investimenti quanto per le condizioni sfavorevoli del mercato; e che agli occhi della comunità locale e nazionale superi la “logica del profitto” – cioè la massimizzazione dei guadagni nel breve periodo – impegnandosi a perseguire l’obbiettivo strategico di rendere lo stabilimento jonico assimilabile ai più avanzati centri siderurgici del mondo. Per farla breve, l’unica soluzione ragionevole è l’intervento diretto dello Stato, che porti alla creazione di una società di tipo nuovo rispetto all’ILVA dei Riva, fortemente caratterizzata da un fine sociale nei confronti del territorio e dei lavoratori.

Posto che questa è la soluzione a cui si dovrebbe arrivare per risolvere una volta per tutte la “questione ILVA”, il decreto ha introdotto degli ulteriori elementi di complicazione superflui, se non addirittura dannosi. Si è dato il via a un pericoloso conflitto fra organi dello Stato, il cui esito è al momento tanto indecifrabile quanto inquietante; si è alimentato un senso di sfiducia da parte dei cittadini nei confronti della massima istituzione politica del paese, che sembra non essere in grado di mantenere un equilibrio tra diritti costituzionali, ma piuttosto di propendere per una parte soltanto (Lavoro e Impresa su Salute e Ambiente); si è esasperato il sentimento di insofferenza nei confronti della politica, legittimando come interlocutori personalità che risultano coinvolte nel pervasivo sistema di potere creato dall’azienda a tutti i livelli; si è gettata benzina sul fuoco dello scontro fra lavoratori e comunità locale e tra comunità diverse (a Taranto non è stata molto gradita l’esultanza dei lavoratori di Genova alla notizia dell’approvazione del decreto).

In conclusione, il decreto non offre una soluzione, ma semplicemente rimanda nel tempo il nodo che andava affrontato qui ed ora. In compenso, innesca una serie di reazioni negative che rischiano di compromettere la riuscita dell’unica operazione capace di sbrogliare la matassa. Un futuro intervento pubblico su ILVA infatti potrebbe pagare lo scotto di tutti gli elementi negativi su elencati, venendo percepito esso stesso come l’ennesima imposizione – o un intervento in emergenza – anziché come l’unica soluzione risolutiva e ragionevole al problema.

6 Comments

  1. Nadia Strusi December 4, 2012 1:05 pm 

    L’unica cosa che ha fatto il Governo e’ prendere tempo! Ha creato inoltre una sensazione di profonda sfiducia nel governo che si e’ mostrato autoritario e poco sensibile ai problemi dei cittadini di Taranto. Tale decreto, infatti, non dispone nessuna risorsa a favore della città e dei suoi abitanti e non da nessuna risposta alle istanze degli stessi!

  2. lorenzo ricci December 4, 2012 3:50 pm 

    Luca e Ciccio for Presidents!!
    bravi ragazzi
    a mio parere c’avete azzeccato in pieno!!
    ottimo lavoro!!
    continuate così!!!

  3. giacomo Raffaelli December 4, 2012 5:47 pm 

    Condivido in toto. Ilva sta chiudendo lo abbiamo capito tutti o quasi. Il problema di fondo è che.non sui è riusciti a trovare una verrà unità di fronte a una questione così drammatica. Non mi meraviglia che non siano interessati i soggetti politici che sono sempre stati presenti sulla ribalta.è grave però che i cittadini liberi non ci siano riusciti inventando la.loro attenzione su questioni non prioritarie. Un fronte unico trasversale sarebbe per me auspicabile.

  4. Lia December 4, 2012 5:50 pm 

    Sono d’accordo sull’esproprio dell’ILVA da parte del Governo. Ma non essendo il Governo in grado di risolvere attualmente la situazione essendo in crisi, lo conceda al miglior offerente in grado di risolvere sia i problemi di lavoro, sia di salute. Lia

  5. antonio calvo December 4, 2012 6:19 pm 

    Complimenti agli autori dell’articolo, esauriente in tutti gli aspetti. Soltanto una cosa avete dimenticato di dire: Taranto non vuole più questa fabbrica, non ne può più, compreso chi ci lavora … e la famiglia Riva, dopo anni di anarchia, ha perso…

  6. Antonello Giusti December 4, 2012 7:21 pm 

    Un’analisi seria e competente sul problema dell’ILVA di Taranto,non si può ignorare che il governo,ma soprattutto Napolitano, hanno di fatto ignorato le istanze dei tarantini. Da sempre terra di conquista, questa povera città oggi ha finalmente trovato la forza e la dignità di pretendere il rispetto per la propria salute e per quella delle generazioni a venire.

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