Perché chiudono i corsi di laurea del Polo Jonico?

di Mara Pavone

In questo periodo – soprattutto in seguito alla diffusione della notizia sulla possibile chiusura dei corsi di laurea del Politecnico da un lato, e la chiusura certa delle triennali di operatore dei servizi giuridici e di scienze della comunicazione e dall’animazione socio-culturale dal’altro – si sentono le teorie più assurde sul perché il Polo Jonico stia “perdendo pezzi” in questo modo. Qualcuno è arrivato ad affermare che i corsi stanno chiudendo perché gli enti locali “non ci stanno mettendo i soldi”.

Occorre fare quindi un po’ di chiarezza. Il Polo Jonico – come tutte le sedi universitarie di Italia – sta subendo ancora gli effetti della famosa legge 133/2008. Da un lato vi è il taglio di 1,5 miliardi di euro spalmati in 5 anni (2009 – 2013), mentre dall’altro c’è il blocco del turn-over. La legge 133 prevedeva infatti che nei primi anni di applicazione della stessa si potessero assumere docenti nella misura del 20 % rispetto a quelli andati in pensione (in sostanza si assume 1 docente ogni 5 che vanno in pensione).

Questo ha creato non pochi problemi, perché per legge l’attivazione di un corso di laurea dipende – tra le altre cose – dal numero di docenti garanti dello stesso, dunque venendo a mancare i docenti per il blocco del turn-over vengono disattivati i corsi di laurea.

Il colpo di grazia è stato inflitto dal Decreto 47/2013 conosciuto meglio come “Decreto AVA” (Autovalutazione, Valutazione, Accreditamento). Questo è uno dei decreti attuativi della Riforma Gelmini, che impone dei parametri molto più stringenti per l’attivazione dei corsi di laurea.

I vincoli maggiori sono imposti dal DID e dai requisiti di docenza.

Per DID si intende la quantità massima di didattica assistita erogabile, calcolata a livello di Ateneo. Questo parametro viene calcolato applicando una formula che tiene conto della composizione del corpo docente (prof a tempo definito, indeterminato, ricercatori). Nel caso in cui l’Ateneo superi i limiti di ore erogabili, la sede e i relativi Corsi di Studio non otterranno l’Accreditamento Iniziale, dunque l’Ateneo è costretto a tagliare sulla didattica.

Il requisito di docenza invece è presente nell’accreditamento periodico (Si intende la verifica, con cadenza almeno quinquennale per le sedi e almeno triennale per i corsi di studio, della persistenza dei requisiti che hanno condotto all’accreditamento iniziale e del possesso di ulteriori requisiti di qualità, di efficienza e di efficacia delle attività svolte in relazione agli indicatori).

Per il calcolo dei docenti necessari per attivare un corso di laurea si usa una formula, che tiene conto anche degli studenti immatricolati di quel corso; inoltre per ogni corso di laurea è fissata una “numerosità massima” – oltrepassata quella soglia di immatricolati i docenti necessari aumentano all’aumentare degli studenti immatricolati.

Questo significa che, ipotizzando un dipartimento di 60 docenti che ha all’attivo 5 corsi di laurea e, secondo i calcoli imposti dal decreto, necessita di 80 docenti per mantenere attivi quei 5 corsi, si presenta la situazione in cui si è costretti a tagliare alcuni di quei corsi di laurea; nella maggior parte dei casi vengono tagliati quelli con meno immatricolati.

Questo è ciò che sta accadendo nel Polo Jonico, come in tutte le sedi universitarie d’Italia. Il centro interdipartimentale “Magna Grecia” (che sostituisce la II Facoltà di Ingegneria per i cambiamenti imposti dalla Riforma Gelmini) non ha i docenti necessari per mantenere l’offerta formativa attuale.

Stesso discorso vale per il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’UNIBA, e il Dipartimento Jonico (dove sono stati tagliati i corsi di laurea citati prima). Per limitare i danni si pensa ad un corso di laurea interdipartimento tra il Dipartimento Jonico e il Dipartimento di Scienze della Formazione, ma questo è ancora tutto da vedere.

Questa è la situazione imposta dal decreto. Però bisogna fare anche un ragionamento sul perché i docenti del Polo Jonico sono diminuiti nel tempo.

La realtà è che il Polo Jonico non è nato con una determinata progettualità, non si è voluta dare a Taranto una “specializzazione” – come era più logico fare dato che tutti i corsi di laurea di base erano già presenti a Bari. Sono stati aperti corsi “fotocopia” di quelli di Bari, di fatto non arricchendo quella che era l’offerta formativa globale di tutto l’Ateneo. In questo modo il Polo Jonico non è mai riuscito a crescere veramente perché Taranto non è oggettivamente una città universitaria, mancano una serie di strutture e servizi presenti invece nelle grandi sedi di Bari e Lecce – in questo modo lo studente che vede la medesima offerta formativa, se ha la possibilità di studiare fuori lascia questa città senza pensarci due volte, perché sa che pagando le stesse tasse a Bari o Lecce avrebbe molti più servizi.

La “strategia” migliore sarebbe stata quella di fare a Taranto dei corsi di laurea legati alle specificità del territorio, ma che creino comunque delle figure professionali competenti nel loro settore che possano lavorare in tutta Italia, come detto in un precedente articolo1. Si possono fare queste valutazioni in ogni settore: nell’ambito dei Beni Culturali (del resto Taranto è la città della Magna Grecia), delle scienze ambientali, ma anche nell’economia (ad esempio si potrebbe insegnare agli studenti come creare le alternative economiche in un territorio dove c’è solo la grande industria, ed applicare quelle conoscenze in territori con problemi simili).

La realtà è che sono stati creati dei corsi di laurea sulla base dei docenti disposti a venire ad insegnare a Taranto. Di questi alcuni sicuramente non hanno mai visto il Polo Jonico come una università di serie B, ma come un modo per far crescere il territorio e porre le basi per creare nuove opportunità nell’ambito della ricerca scientifica e fornire un tipo di istruzione specializzata. Altri purtroppo invece sono stati attratti da interessi più personali, come ad esempio far carriera (perché a Bari, essendoci già troppi docenti, non avrebbero avuto questa possibilità), ed alla prima occasione sono tornati a Bari, lasciando morire i corsi di laurea nel tempo.

Differenziando l’offerta del Polo Jonico sicuramente ci sarebbe stata una situazione migliore. E’ stata anche colpa degli enti locali che non hanno mai avuto una vera e propria visione dell’Università; sia chiaro è sempre l’Università a scegliere l’offerta formativa, ma l’Ente locale deve sapersi comunque imporre per indirizzare le scelte dell’Università, specialmente nel caso in cui quest’ultima riceve dei fondi dagli enti (ad es. il Comune di Taranto – in base all’accordo di programma – ha versato 2 milioni di euro per la ristrutturazione della sede universitaria della Città Vecchia, e 100000 euro all’anno per finanziare alcune borse di studio).

Il futuro del Polo Jonico dipende quindi dalla differenziazione dell’offerta formativa. In questo modo verrebbero attratti molti più studenti, e con maggiori iscritti verrebbero anche creati tutti i servizi necessari per fare di Taranto una città universitaria. E per realizzare questo ci deve essere una collaborazione tra enti locali ed Università.

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1 http://www.siderlandia.it/?p=8677