Bagnoli-Taranto, sulla via del disastro

di Margherita De Quarto

Taranto – Martedì 9 aprile la Corte Costituzionale si pronuncia contro il ricorso della gip Patrizia Todisco: il decreto Salva-Ilva non è incostituzionale.
L’atto non è stato ancora depositato, ma giocando di fantasia potremmo provare ad immaginare le parole pronunciate per l’occasione dagli emeriti giudici della Corte: il Decreto non ostacola il lavoro svolto dalla magistratura fino ad ora. Non esiste rischio per la salute e per l’ambiente. Inoltre si tratta di un’industria di interesse strategico nazionale. Quindi si potrebbe chiudere un occhio sull’A.I.A., o magari apportare qualche “modifichina” qui e lì.
In fin dei conti cosa saranno mai altri 36 mesi di produzione e d’inquinamento a pieno regime, di fronte alla vendita dell’acciaio ed alla salvaguardia di 20mila posti di lavoro? La terra e il sangue dei tarantini sono avvelenati? E chi dimostra che sia diossina e che sia proprio quella dell’Ilva?

Sperando di aver esagerato con la fantasia, mi viene subito in mente che constatare quanta e quale tipo di diossina ci scorra nelle vene non sia impossibile. Lo dimostra il Rapporto Sebiorec. Commissionato nel 2007 dall’allora Governatore della Regione Campania, il rapporto voleva dimostrare che l’emergenza rifiuti ed i roghi che ne seguivano, stavano avvelenando i cittadini campani. mai pubblicato, Sebiorec parte da uno studio epidemiologico con biomarcatori. Attraverso analisi svolte su 900 campioni di sangue e 60 di latte materno, si è evidenziato che nel sangue dei napoletani e dei casertani ci fosse diossina di tipo “Seveso” (la più cancerogena).
Lo so, questo vi ricorda qualcosa: anche le mamme tarantine hanno la diossina nel latte materno.
Forse per dimostrare che nella corsa all’avvelenamento nazionale non siamo inferiori a nessuno, in questi giorni Fabio Matacchiera ed Alessandro Marescotti hanno svolto un lavoro similare a quello del rapporto Sebiorec: analisi del sangue su nove bambini residenti a Statte, città/paese vicino alla zona industriale Ilva, quindi soggetto ai venti velenosi. Nel sangue dei nove piccoli è stato trovato del piombo, dai 22 ai 36 microgrammi di piombo per decilitro di sangue.
Se vi state domandando se sia tanto o poco, la risposta è che l’Istituto per la ricerca sul cancro (Iarc di Lione) dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha dichiarato il piombo come probabilmente cancerogeno per l’uomo e neurotossico per i bambini.
Il problema è che se non si può dimostrare con certezza che i due decessi al mese registrati dai periti della Procura, il latte materno alla diossina, le capre ed i terreni avvelenati siano colpa dell’Ilva, altrettanto vale per il piombo nel sangue dei fanciulli. Si possono ipotizzare correlazioni. Ma le correlazioni non bastano a chiudere l’Ilva o a metterla in regola con il dettato A.I.A.
Non basta ad Emilio Riva, non basta al nostro governo centrale e non basta alla Corte Costituzionale.

Restando in terra campana, tre giorni fa è accaduto un episodio bizzarro.
A soli due giorni dalla sentenza della Corte Costituzionale sul Decreto Salva-Ilva, l’area dell’ex Italsider di Bagnoli è stata posta sotto sequestro preventivo per disastro ambientale. La BagnoliFutura spa ed i suoi 21 ex dirigenti (indagati), avrebbero dovuto occuparsi della bonifica della zona, alla modica cifra di 107milioni di euro di denaro pubblico, ma al fruscio dei soldi il gruppo truffaldino ha elabora il piano diabolico: non eliminare le sostanze tossiche, ma rimescolarle nel terreno, così aumentando il rischio tossicologico (quello insomma che da qualche tempo si rischia nel cimitero di Taranto).

Non è la storia della truffa ad esser strana – non in Italia almeno -. Quello che è strano è che parlando del terreno avvelenato per anni da un grande centro siderurgico, della donna che ne ha posto sotto sequestro l’area per disastro ambientale (in questo caso un Pubblico Ministero e non un giudice per le indagini preliminari), il nostro presidente del Senato, Pietro Grasso ha dichiarato: “Il sequestro dell’area va nella linea di una bonifica dell’ambiente. Per questo bisogna appoggiare l’azione di magistratura e forze di polizia per ripristinare l’ambiente com’era prima delle violenze fatte da altri”.
Stava parlando dell’Ilva di Taranto? No. Parlava dell’Italsider di Bagnoli.

Dov’è la differenza?
Forse che la prima è ancora aperta, mentre la seconda fu chiusa nel 1992 dal Comitato Tecnico consultivo che aveva il compito di analizzare le perdite all’interno dell’IRI. Nel 1978 questo decretò che l’impianto avrebbe necessitato dei lavori di modernizzazione, inapplicabili per carenza di spazio. La localizzazione dell’allora Italsider di Bagnoli era inadatta all’esercizio di un impianto siderurgico moderno, era quindi necessaria la progressiva chiusura.
Ci vollero 14 anni, l’Italisder chiuse e ai napoletani rimase il compito di raccogliere i cocci: 7.000 posti di lavoro sfumati per sempre e un danno ambientale che fino ad oggi è costato allo Stato Italiano una truffa da 107milioni di euro.
Questa storia dimostra che quando la modernità chiama l’imprenditore deve rispondere e, onde evitare che i tarantini domani si sveglino disoccupati, avvelenati, incazzati, “cornuti e mazziati”, questo governo tecnico dovrebbe solo pregare che la suddetta chiamata, quando arriverà al Gruppo Riva, non si porti via l’azienda ed i suoi 20mila posti di lavoro.
In quel caso le scelte politicamente ed economicamente disastrose e poco lungimiranti di questo governo tecnico saranno sotto gli occhi di tutta l’Europa.